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Guerra Ucraina

L’Ue si muove per isolare lo Zar. E tiene congelati gli asset russi

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Anche l’Europa si muove. Con i suoi tempi e con i suoi limiti politici e istituzionali. Nel giorno in cui le sanzioni di Trump contro Rosneft e Lukoil, primi gruppi energetici russi, picchiano duro l’economia di Mosca, il Consiglio Europeo riunito a Bruxelles fa un altro passo verso l’isolamento del Cremlino.

E nelle conclusioni resta il punto in cui si concorda di “tenere congelati” gli asset russi nelle casseforti del Vecchio continente fino al risarcimento dovuto da Mosca dei danni della guerra. La formalizzazione del prestito all’Ucraina concesso utilizzando il denaro russo non è arrivata ieri come qualcuno sperava, ma fonti Ue si sono dichiarate fiduciose che l’iter possa concludersi nel consiglio previsto a metà dicembre. Le difficoltà sul tappeto, a cui gli esperti giuridici stanno lavorando, sono quelle note: prima di tutto le garanzie per i singoli Paesi (e soprattutto per il Belgio, in cui ha sede la società Euroclear, depositaria di gran parte dei soldi) contro eventuali rappresaglie, giudiziarie e no, dei russi. “La Russia ha molta paura che l’Europa possa prendere questa decisione”, ha detto il presidente Volodymyr Zelensky, anche lui a Bruxelles per una serie di incontri (da Friedrich Merz a Giorgia Meloni): “Per noi è molto importante avere questi soldi nel corso del 2026, preferibilmente all’inizio dell’anno, ma non so se sarà possibile”. Secondo le indiscrezioni emerse il piano allo studio prevede un’azione che coinvolgerà solo 26 Paesi, con l’esclusione dell’Ungheria, che si è chiamata fuori da ogni azione sul tema.

Parallelamente al problema dei soldi il vertice dei capi di Stato e di governo ha ribadito l’impegno politico a una difesa comune e rafforzato l’impianto delle sanzioni. In questo campo si sono fissati tempi e modi della progressiva riduzione dell’approvvigionamento di gas liquido russo, che nel 2024 valeva ancora la più che rispettabile cifra di 7 miliardi di euro. Le nuove sanzioni (quello di ieri era il pacchetto numero 19) hanno anche preso di una ventina di società cinesi, alcune di primo piano, e indiane, accusate di aiutare Mosca a evadere le restrizioni varate in precedenza. Un capitolo a parte è dedicato alle petroliere ombra fin qui riuscite a eludere il blocco del petrolio russo: sulla lista nera europea sono state iscritte altre 117 navi, portando il totale a quota 558. Tra le clausole previste l’impossibilità di accedere a servizi europei (per esempio nel campo della riassicurazione) per cinque anni anche nel caso di cessione a un nuovo proprietario. A essere sanzionati saranno anche i porti che movimenteranno merci di provenienza russa al di fuori dei casi consentiti.

A Zelensky è stato chiesto come valutava l’andamento degli ultimi giorni e in particolare il recente incontro con Trump. “Abbiamo le sanzioni alla Russia, non c’è più il vertice in Ungheria senza l’Ucraina, non abbiamo ancora i missili Tomahawk ma chissà, forse un giorno siamo destinati ad averli: tutto sommato non è andata male”.

Lui come i leader europei sperano che l’azione coordinata tra Europa e Stati Uniti possa finire con il mettere davvero in difficoltà l’economia russa che fin qui è sembrata superare tutti gli ostacoli. Il colpo più duro è, senza dubbio, quello della sanzioni Usa a Lukoil e Rosneft. La rinuncia degli acquirenti e cinesi e indiani al petrolio fornita dalle due società, annunciata ieri, potrebbe mettere in difficoltà il bilancio federale russo che per un terzo è basato sull’export energetico e che negli ultimi mesi ha visto triplicare il proprio deficit. Anche se, secondo alcuni analisti, una volta esaminata la portata delle sanzioni, gli acquisti potrebbero in parte ricominciare, riducendo l’impatto della decisione di Trump.

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Guerra Ucraina

Usa, svolta sanzioni. Anche la Cina blocca il petrolio russo. Putin: “Atto ostile”

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Dopo mesi di indecisioni, con l’obiettivo di perseguire la via diplomatica per porre fine al conflitto tra Russia e Ucraina, Donald Trump colpisce con le sanzioni i due giganti energetici di Mosca, Rosneft e Lukoil. Il presidente americano lamenta che i suoi colloqui con Vladimir Putin “non portano a nulla”, puntando il dito contro “il rifiuto dello zar del Cremlino di mettere fine a una guerra senza senso”. Il tycoon ha rimandato a lungo, ma ora “è il momento giusto” di rispondere alle richieste di Kiev e degli alleati occidentali con un pacchetto di sanzioni “tra le più ingenti che abbiamo mai imposto alla Russia”. Come chiarisce il segretario al Tesoro Scott Bessent: “Putin non si è presentato al tavolo delle trattative in modo onesto e schietto, come speravamo”, precisa, invitando i Paesi del G7 e altri alleati a “unirsi” agli Usa. In quest’ottica potrebbe pesare l’incontro, annunciato per giovedì a Seul, del presidente americano con il leader cinese Xi Jinping, in occasione del viaggio di Trump in Asia, a margine del vertice Asean in Corea del Sud, per il quale il presidente è partito nella notte italiana.

Le sanzioni – che comportano il congelamento di tutti i beni di Rosneft e Lukoil negli Stati Uniti, e impediscono a tutte le aziende Usa di fare affari con loro – fanno schizzare le quotazioni del petrolio, in forte rialzo a New York con un +5,09% a 61,48 dollari al barile. Le sanzioni annunciate da Trump sono un “atto ostile” e non rafforzano le relazioni russo-americane, afferma Putin, che parla di “reazioni sbalorditive”, ma il suo parere è che nessun Paese che si rispetti fa mai niente sotto pressione. Poi avverte che comunque non avranno un impatto significativo sull’economia russa. Mentre il segretario di stato americano Marco Rubio sottolinea che Washington sarà “sempre interessata a un dialogo se ci sarà l’opportunità di raggiungere la pace”. Mosca trova una sponda in Pechino, che dichiara di “opporsi” alle “sanzioni unilaterali che non si basano sul diritto internazionale e non sono autorizzate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Tuttavia, le principali compagnie petrolifere statali cinesi hanno sospeso gli acquisti di petrolio russo trasportato via mare dopo l’imposizione delle misure restrittive a Rosneft e Lukoil. Secondo Reuters, le compagnie nazionali del Dragone come PetroChina, Sinopec, Cnooc e Zhenhua Oil si asterranno dal commerciare petrolio russo trasportato via mare, almeno nel breve termine. Sebbene la Cina importi circa 1,4 milioni di barili di petrolio russo al giorno via mare, la maggior parte di questo viene acquistato da raffinerie indipendenti. Intanto, il capo dell’ufficio presidenziale ucraino, Andriy Yermak, sostiene che Trump ha dato il “via libera” al trasferimento dei sistemi di difesa aerea Patriot a Kiev. Quanto ai Tomahawk, continua, “il dialogo è in corso e non direi che questa porta sia chiusa”. Il comandante in capo, da parte sua, afferma che “ci vuole un anno per imparare a usare questi missili, e gli ucraini non possono farlo. L’unico modo in cui un Tomahawk può essere sparato è se lo spariamo noi, e non intendiamo farlo”. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, alla luce degli ultimi sviluppi, rivaluta l’incontro con The Donald: “Abbiamo le sanzioni alla Russia, non c’è un vertice in Ungheria senza l’Ucraina, non abbiamo ancora i Tomahawk ma chissà, forse un giorno li avremo: tutto sommato non male”, dice da Bruxelles. E tornando sugli agognati missili a lungo raggio: “Prima o poi ci arriveremo, sarà come per le sanzioni che prima sembravano impossibili. Ma ovviamente sarà il presidente Trump a decidere, è una questione sensibile”.

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Guerra Ucraina

Meloni in pressing su auto e ambiente. “Serve flessibilità”. Vertice con Zelensky che chiede sostegno per le armi a Kiev

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nostro inviato a Bruxelles

Prima l’ormai consueta riunione informale sull’immigrazione, poi un colloquio faccia a faccia con Ursula von der Leyen per sollecitare la presidente della Commissione Ue sui dossier chiave per l’Italia (da clima e competitività fino all’automotive), infine un bilaterale con Volodymyr Zelensky durante il quale si parla della delicata questione dei beni russi congelati e, probabilmente, anche di un’eventuale adesione italiana al programma Purl (Prioritized Ukraine requirements list), un meccanismo che consente agli alleati di acquistare armamenti direttamente dagli arsenali statunitensi per fornirli a Kiev. Sul tavolo anche la richiesta di generatori elettrici in vista del gelido inverno ucraino.

La lunga giornata di Giorgia Meloni a Bruxelles inizia di prima mattina e si conclude a tarda sera, dopo una cena in cui si tiene l’Eurosummit, presenti i presidenti della Bce e dell’Eurogruppo, Christine Lagarde e Paschal Donoho. Un passaggio decisivo anche rispetto alla questione degli asset russi (su cui frena il Belgio, dove ha sede Euroclear, che custodisce circa 180-185 miliardi di euro appartenenti alla Banca centrale russa). Sul punto, infatti, Meloni ha dato la sua disponibilità anche durante il colloquio con Zelensky, ma – esattamente come accadde in occasione del prestito G7 in scadenza a inizio 2026 e come hanno fatto molti altri leader europei – ha chiesto un parere di fattibilità proprio alla Lagarde.

Oltre al dossier Ucraina, però, la premier si è concentrata soprattutto su tre partite che considera decisive: competitività, transizione climatica e semplificazione. Tutte questioni al centro del faccia a faccia con von der Leyen. A cui Meloni, fa sapere una nota di Palazzo Chigi, “ha ribadito la necessità di urgenti provvedimenti a sostegno del settore automobilistico e delle industrie ad alto consumo energetico”. Ed è proprio sull’automotive che la premier ha fatto asse con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, con Italia e Germania che sono state seguite da altri Paesi Ue che hanno problemi industriali simili. Riuscendo a portare a casa un via libera alla cosiddetta neutralità tecnologica con riferimento specifico alle auto. Una soluzione, fanno sapere fonti italiane, “supportata” anche dalla Francia di Emmanuel Macron.

D’altra parte, Meloni è da sempre molto critica verso quella che ha più volte definito “la deriva green”, un’agenda sulla transizione verde che è stata tra i pilastri della scorsa legislatura europea e che secondo la premier ha contribuito a rallentare l’economia europea e oggi rischia di affossarla. A differenza di qualche anno fa, però, Meloni non è la sola a pensarla così. Non a caso, ad ospitare l’incontro informale di coordinamento sulla competitività in vista del Consiglio, è la delegazione del Belgio. E al tavolo non c’è solo l’Italia, ma anche i capi di Stato o di governo di Austria, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi. Tutti hanno un forte tessuto industriale e chiedono “flessibilità” rispetto al target del 2040 per la riduzione delle emissioni del 90% rispetto ai livelli del 1990. Un obiettivo considerato troppo stringente e che non alleggerisce gli oneri climatici per le imprese.

Resta sullo sfondo, invece, quello che non è certo un tema all’ordine del giorno del Consiglio Ue. E cioè il “no” di Meloni – scandito mercoledì in Senato – all’ipotesi di una limitazione del voto all’unanimità, con il passaggio per una serie di materie al voto a maggioranza. Un modo per evitare che il veto di uno dei Ventisette, paralizzi l’Europa come è già accaduto molte volte con l’Ungheria di Viktor Orban sul sostegno all’Ucraina. Una posizione, quella della premier, da cui prende le distanze Antonio Tajani. A margine del pre-vertice del Ppe a Bruxelles, infatti, il vicepremier e ministro degli Esteri spiega che Forza Italia è sempre stata a favore della difesa europea, degli Stati Uniti d’Europa e del ricorso al voto a maggioranza qualificata per le decisioni in Consiglio Ue.

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Guerra Ucraina

Zelensky chiede i Tomahawk all’Europa. La risposta di Mosca: jet nei cieli lituani

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La loro ultima missione era come tante altre: restituire un volto umano a una guerra che da oltre tre anni non smette di divorare vite. Ma questa volta, Olena Hubanova ed Evgeny Karmazin non sono tornati. Un drone kamikaze russo Lancet ha centrato il loro veicolo a Kramatorsk, uccidendoli sul colpo. Erano giornalisti del canale televisivo Freedom, e fin dai primi giorni dell’invasione russa avevano raccontato la realtà cruda del Donbass: l’evacuazione dei civili, i crimini di guerra, il coraggio dei soldati. Dal febbraio 2022, la Russia ha già ucciso 135 operatori dei media in Ucraina.

La notizia della loro morte arriva in un momento cruciale per la guerra. Gli Stati Uniti, per bocca del capo dell’ufficio presidenziale ucraino Yermak, hanno confermato che Trump ha dato il via libera al trasferimento dei sistemi di difesa aerea Patriot a Kiev. Dal Consiglio europeo di Bruxelles, Zelensky ha ribadito che il dialogo con Washington sui missili Tomahawk «resta aperto» ed escluso qualsiasi concessione territoriale. «Era impensabile ottenere certe sanzioni energetiche, eppure oggi sono realtà. Accadrà lo stesso con i Tomahawk», ha detto, chiedendoli all’Ue e spiegando che «anche alcuni Paesi europei li hanno», per poi sottolineare che Kiev non ha mai usato armi americane a lungo raggio contro la Russia, mentre Mosca «uccide civili e bambini». A margine, ha incontrato il cancelliere tedesco Merz per discutere di cooperazione sulla difesa aerea.

Nel frattempo, la Finlandia ha annunciato un nuovo pacchetto da 100 milioni per l’acquisto di armi statunitensi destinate all’Ucraina, mentre Kiev ha iniziato a prelevare gas dagli impianti di stoccaggio per far fronte agli attacchi russi contro il sistema energetico.

Da Mosca la risposta è la consueta combinazione di negazione e propaganda. La portavoce del ministero degli Esteri Zakharova ha dichiarato che le sanzioni americane «non creeranno particolari problemi alla Federazione Russa», aggiungendo che Mosca «non vede ostacoli significativi» alla prosecuzione dei contatti con Washington per definire «un quadro politico per una soluzione in Ucraina». Orbán, sempre più isolato ma coerente nella linea filo-russa, ha spiegato che «l’unico Paese dove si può siglare un accordo di pace è l’Ungheria. Noi lo desideriamo, l’Europa no». Per Putin «è solo questione di tempo, ma il summit proposto dagli Usa si farà. I Tomahawk? Se usati la nostra risposta sarà schiacciante».

Sul campo otto civili sono stati uccisi a Bakhmut e a Kherson. Kiev ha colpito la raffineria russa di Ryazan, mentre la centrale di Zaporizhzhia ha riottenuto l’elettricità dopo un mese di blackout. Mosca ha restituito all’Ucraina mille salme di soldati, in Kazakistan un drone è esploso vicino al confine russo, e jet di Mosca hanno violato lo spazio aereo lituano, spingendo caccia Nato spagnoli a rafforzare il controllo dei cieli. Per il Washington Post Mosca starebbe potenziando la sorveglianza della sua flotta nucleare nell’Artico con un avanzato sistema sottomarino basato su tecnologie Usa ottenute tramite rete segreta. Il segretario Nato Rutte oggi a Londra per la riunione dei «volenterosi» con Starmer e Macron.

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Tendenza

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