Italia
La genesi del Partito Democratico, ma il tempo stringe
GENOVA – “Essere o non essere, questo è il dilemma”. È l’Amleto di William Shakespeare o il Partito Democratico ligure? Vivere soffrendo o ribellarsi e rischiare di morire. La trasposizione del soliloquio dell’opera incarna bene quella dei dem, alle prese, sì con una risalita dei consensi, ma anche con l’interrogativo di come non sprecare l’occasione che si è creata. Perché, si sa, in politica è fondamentale cogliere l’attimo e capire quale sia la strada migliore da intraprendere. Il Pd, oggi, è chiamato – come si suol dire – a prendere in mano la situazione, in vista del prossimo appuntamento elettorale, quello con le Regionali. Una data sul calendario ancora non c’è ma il terremoto giudiziario che si è abbattuto sulla Regione il 7 maggio scorso, e che ha portato agli arresti domiciliari il presidente Giovanni Toti (su di lui pende l’accusa di presunta corruzione ndr), ha rimescolato le carte e, presumibilmente, ha accelerato il percorso.
Il governatore ha ribadito, anche negli ultimi incontri politici con parte della giunta e con le segreterie dei partiti, che non ha intenzione di dimettersi. Ma cosa il futuro riserverà, da qui alle prossime settimane, nessuno è in grado di dirlo. Tra i corridoi del consiglio regionale e non solo si fa sempre più insistente l’ipotesi che, alla fine, si voterà tra febbraio e marzo 2025. Il Partito Democratico però, oltre a chiedere ripetutamente il passo indietro di Toti, deve intavolare una serie di incontri per fissare i prossimi obiettivi: dalla coalizione, più o meno allargata, alla scelta del candidato. D’altronde, inutile negarlo, numeri alla mano il partito di Elly Schlein in Liguria è maggioritario, con onore o onere annessi. Da una parte quello di dover trainare una possibile vittoria che manca da oramai dieci anni, dall’altra quello di inciamparsi su se stesso e di rischiare un altro flop. La storia degli ultimi anni insegna, con la scelta di candidati non all’altezza del percorso richiesto, in un quadro in cui Regione e comune di Genova erano già a trazione centrodestra. Le ipotesi sul piatto sono diverse, partiamo dalla coalizione.
Si spinge, almeno a parole (più o meno tiepide), per un’alleanza ampia, che parta da sinistra e arrivi al centro. Per intenderci quindi, da Alleanza Verdi e Sinistra fino ad arrivare ad Azione e/o Italia Viva. Nella prima ipotesi la segretaria regionale Cristina Lodi ha fatto capire di volerci stare, nella seconda la coordinatrice Raffaella Paita ha glissato, sempre più lontana dai progressisti. In mezzo c’è ovviamente il Pd, ma anche il Movimento Cinque Stelle. Mettere tutti d’accordo sarà un’impresa non scontata e per farlo sarà necessario partire dai programmi, ripetono tutti come un mantra, ma anche dal candidato, da un cosiddetto federatore che unisca le varie anime del centrosinistra, da sempre più litigioso all’interno che all’esterno. Diversi i nomi che circolano e che, in fondo, non convincono pienamente, a partire dal deputato Andrea Orlando.
E allora si potrebbe tornare alle origini, a quelle famose Primarie fondate proprio dai dem, che però rischierebbero di trasformarsi in un tutti contro tutti, soprattutto all’interno del Pd. La prima scelta, d’altronde, sarà quella di decidere se virare su un profilo “più riformista” alla Marco Russo, o se su un vero e proprio progressista, anima di quel Partito Democratico che negli ultimi anni ha caratterizzato la Liguria, in primis Genova. E a quel punto i nomi non mancherebbero. Alla finestra però, magari anche un po’ spazientite, ci sono le altre forze politiche che hanno già fatto capire, in più di una circostanza, di voler accelerare i tempi. Il Pd è chiamato alla prova del nove e per una volta, per farlo, dovrà superare le varie crepe interne che sono ancora presenti. Perché, per un percorso di introspezione da “Essere o non essere” non c’è molto tempo.
Italia
Mov5s, vince la linea Conte: addio garante e ok alle alleanze
Conte-Grillo 1-0. Si è chiusa la Costituente del Movimento Cinque Stelle e l’ex premier è uscito trionfante da quello che era considerato da molti un vero e proprio appuntamento con la storia.
Cosa hanno scelto i sostenitori del Mov5s
Gli iscritti alla piattaforma pentastellata hanno votato gli oltre dieci quesiti, tra i quali quelli dirimenti sul futuro del partito di Giuseppe Conte. L’assemblea si è espressa per modificare la regola dei due mandati, sono passate con più del 50% dei voti tutte le opzioni di revisione dello statuto. A questo si è aggiunta l’eliminazione del ruolo del garante. Tradotto: stop al padre fondatore Beppe Grillo che oramai quindici anni fa aveva dato avvio al Movimento con il suo “Vaffa day”. La platea di “Nova” dove si sono riuniti i pentastellati ha accolto con un applauso la notizia relativa alla fine dell’era del garante Grillo.
La vittoria di Giuseppe Conte
Soddisfazione non è stata nascosta dal presidente del M5s Giuseppe Conte che ha dato ufficialmente il via a una nuova epoca, senza mancare la stoccata finale a Grillo: “Non mi sarei mai aspettato che il garante si mettesse di traverso ed entrasse a gamba tesa, un garante che ci ha detto da subito e lo ha ripetuto con pec e video che ci sono alcune cose di cui potete discutere e altre no”. Altro quesito fondamentale per il futuro del M5s e ancor di più per il centrosinistra, era legato alle alleanze. C’è il disco verde da parte degli iscritti, a patto che ci sia un accordo programmatico preciso. L’esito del voto è stato schiacciante con il suo 92,4%. L’81,2 % dei votanti non vuole vietare alleanze al M5s. Il 13,9% invece vorrebbe che il M5s non si alleasse con altre forze. Sono poi diversi i quesiti approvati dalla piattaforma sui poteri del presidente. Tra questi, gli iscritti vogliono che il ruolo di presidente del M5s sia compatibile con il ruolo di premier e quello di ministro. Insomma, un M5s che ha seguito pedissequamente la linea del suo leader Giuseppe Conte e che di fatto lo ha incoronato alla guida del partito.
Il futuro del campo progressista
Fari puntati sulla Costituente grillina anche da parte del centrosinistra, a partire dal Partito Democratico, che sperava in un prosegue del dialogo con i 5s. Anche in Liguria, ma soprattutto a Genova, c’era interesse sull’esito del voto in vista delle Comunali del prossimo anno. Questo non significa che l’alleanza sia già cosa fatta ma apre le porte a un proseguo avviato oramai da anni sul territorio. Insomma, il campo progressista è salvo, o comunque non è uscito azzoppato da questo fine settimana, ma il lavoro che dovranno portare avanti i partiti di opposizione è solo all’inizio.
Italia
Regione, Lilli Lauro pronta ad entrare per la terza volta
Da mezza napoletana qual’è, Lilli Lauro aspetta l’ufficializzazione della sua nomina a consigliere regionale di Fratelli d’Italia per commentarla ufficialmente. Ma ormai è questione di giorni perchè il presidente Marco Bucci ha chiesto ai quattro consiglieri eletti che passeranno in giunta (Scajola, Piana, Ferro e Lombardi) di dimettersi dal consiglio in tempo per garantire, già dal 3 dicembre, il subentro di Chiara Cerri, Armando Biasi, Lilli Lauro e Veronica Russo.
Lilli Lauro, che a settembre aveva lasciato l’incarico di coordinatrice della Lista Toti, si appresa ad entrare quindi per la terza volta consecutiva nel consiglio regionale della Liguria. Lo aveva fatto la prima volta nel 2015 con Toti quando era in Forza Italia ed era subentrata a Ilaria Cavo che era stata nominata assessore pur senza correre ma essendo stata inserita nel listino.
La seconda volta Lauro era invece entrata grazie ai 4.500 voti conquistati dentro la Lista Toti che aveva preso il 24%, mentre questa volta le preferenze raccolte sono scese a 2.730 ma dentro Fratelli d’Italia che si è fermato al 15% con soli due consiglieri eletti (Balleari e Ferro).
Ora quindi al via per lei un’altra stagione in Regione Liguria ma con un occhio già alle comunali dove i suoi voti e la sua presenza sul territorio potrebbero fare la differenza per il partito di Giorgia Meloni.
Italia
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