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Elezioni, Pinotti bocciata (per ora) dagli alleati per i rapporti con aziende di armi

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Roberta Pinotti, genovese, ex ministro della Difesa nei governi Renzi e Gentiloni, è un profilo molto seguito e giudicato interessante dal mondo del centrosinistra alla ricerca di un candidato per le prossime elezioni amministrative. Ma non tutte le anime della coalizione hanno intenzione di puntare forte su di lei “colpevole”, per alcuni, di aver avuto in passato troppi legami con aziende di armi. Molto decisi su questo discorso gli attivisti del Movimento Cinque Stelle ma anche di Avs e Verdi che hanno sempre portato avanti campagne contro la guerra e le armi.

Pinotti, prima donna a ricoprire il ruolo di Ministro della Difesa, non avrebbe quindi l’apporto delle anime più a sinistra nella sinistra ma quello di molti moderati soprattutto all’interno del Pd. 

Le sue origini e gli scout

Nata a Genova il 20 maggio 1961, figlia di un operaio comunista, laureata in lettere moderne e poi insegnante di italiano nei licei, Pinotti iniziò a fare politica negli anni ’80 quando si iscrisse al Partito Comunista Italiano (PCI) a vent’anni, mentre contemporaneamente partecipava ad attività scout e alla parrocchia. Questa combinazione di influenze contribuì a formare la sua identità come pacifista attiva, un aspetto che negli anni le è stato rinfacciato da alcuni esponenti del movimento arcobaleno e non solo, in particolare quando ricopriva il ruolo di ministra della Difesa. Pinotti è stata infatti accusata di contraddire i suoi ideali pacifisti con scelte e decisioni differenti.

“La passione politica esisteva da sempre, al liceo ero in un gruppo scout di sinistra, ma non facevo vita di partito – aveva raccontato in un’intervista – Le organizzazioni giovanili, anche quelle dell’allora Pci, mi sembravano eterodirette, rigide, e io sono sempre stata molto indipendente. Poi, all’università mi sono occupata di politica sempre meno. L’interesse si è riaffacciato più tardi. Era il 1989, il Pci si preparava alla svolta della Bolognina e ci chiesero di candidare qualcuno tra i capi scout. I nomi proposti furono tre, quello di mio marito, già impegnato in altre attività, quello di un sindacalista e poi il mio. È successo così, mi hanno candidato senza che io avessi pianificato un cursus honorum”.

Quella sconfitta mai digerita

Il nome di Roberta Pinotti resta tra quelli “caldi” per la corsa a Palazzo Tursi. Lei non ha mai dato ufficialmente la disponibilità a correre ma di fronte ad una richiesta ufficiale non direbbe di no. In fondo, dopo una carriera romana di altissimo livello, Pinotti accetterebbe volentieri di mettersi al servizio della sua città che negli anni ha sempre vissuto e seguito con grande attenzione. E poi proverebbe a prendersi anche una rivincita di quella sconfitta di 13 anni fa quando arrivò terza alle primarie indette per trovare il candidato sindaco dopo il vincitore Marco Doria (outsider indipendente e fortemente sostenuto da Sinistra Ecologia Libertà, vincitore col 46% dei voti) e il sindaco  uscente Marta Vincenzi (27,5% dei voti).

“Non lo nego, ho sofferto molto. Non tanto e non solo per non avercela fatta, ma perché il mio era stato davvero un gesto disinteressato, non era quello che in fondo avrei voluto fare. Invece, a sentire certi commenti, sembrava avessi corso per tentare di strappare una poltrona a fine carriera. La sofferenza era soprattutto frustrazione per non essere stata capita: a spingermi, prima di tutto, era stato il senso del dovere. Un’esperienza, ripeto, molto dolorosa” raccontò anni dopo. Oggi, con delle elezioni comunali alle porte, il suo nome torna più che mai attuale  e allora potremmo scomodare Giambattista Vico e la sua teoria dei corsi e dei ricorsi… 

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