Mondo
Trump dà l’ordine alla Nato e Meloni scatta sull’attenti ma sulle spese militari ancora non c’è accordo
Al di là dell’idea di unità che si intende trasmettere, tra i 32 alleati della Nato serpeggiano divisioni e recriminazioni. La richiesta di Donald Trump di mettere sul piatto il 5% del Pil per la difesa ha generato diverse reazioni, tra le capitali, di contrarietà.
La formula del segretario generale Mark Rutte – il 3,5% in spese per la difesa classiche +1,5 in spese per la sicurezza in generale – ha cercato di offrire una sponda o, meglio, un’ancora a paesi con problemi di bilancio e che ora si sentono costretti ad aumentare di molto le spese militari.
Distinguo e recriminazioni sul target del 5%
Come la Spagna. Ma lunedì il premier spagnolo Pedro Sanchez, pubblicando per esigenze politiche interne la lettera in cui Rutte accorda un trattamento speciale a Madrid, ha fatto saltare il banco. “La Spagna non ha deroghe, l’intesa è sul 5%”, ha ribattuto l’ex premier olandese. Eppure già iniziano i distinguo.
Robert Fico si è subito accodato a Madrid. Come la Spagna, ha scritto sui social, la Slovacchia deve “riservarsi il diritto sovrano di decidere a quale ritmo e in quale struttura è disposta ad aumentare il bilancio del ministero della Difesa” per “raggiungere il piano della Nato entro il 2035”, precisando che Bratislava “è in grado di soddisfare i requisiti anche senza un sostanziale aumento della spesa per la difesa al 5% del Pil”.
Rutte, chiamato in causa, ha tenuto il punto. “Madrid ha concordato i target di capacità, crede di poter raggiungere gli obiettivi col 2% mentre noi reputiamo servirà il 3,5%: si vedrà nel quadro della revisione del 2029”, ha dichiarato, ricordando che ci saranno “rapporti annuali” sulla traiettoria di spesa effettiva di ogni singolo Paese.
Distinguo ci sono persino nel paese di Rutte: una maggioranza crescente degli olandesi sostiene una maggiore spesa per la difesa purché non vada a scapito degli investimenti interni.
La Svezia avvisa: l’intesa sul 5% non è scontata
“Non do nulla per scontato. L’accordo sul 5% non è ancora concluso: non consideratelo un dato di fatto finché non avremo preso una decisione”, ha detto il premier svedese Ulf Kristersson. “Penso che sarebbe un segnale molto negativo, non da ultimo da parte dei membri europei della Nato, se non fossimo in grado di prendere tale decisione”, ha aggiunto.
“L’idea di aumentare la spesa per la difesa dei Paesi Nato al 5% del Pil nel corso del prossimo decennio è insufficiente, il periodo è decisamente troppo lungo”, ha affermato il ministro degli Esteri lituano, Kestutis Budrys.
Trump attacca Madrid
Trump si dice convinto che la sua richiesta verrà accolta e attacca Madrid. “C’è un problema con la Spagna. La Spagna non è d’accordo. Il che è molto ingiusto nei confronti degli altri”, ha detto.
E se il giorno prima Sanchez ha messo in imbarazzo Rutte, ieri lo ha fatto Trump. Il presidente Usa ha pubblicato su Truth un messaggio privato inviato dal segretario generale della Nato in cui gli faceva i complimenti per il “grande successo” che si profila al vertice de L’Aja.
Il presidente Usa mette in imbarazzo Rutte
“L’Europa pagherà il suo contributo in modo consistente, come è giusto che sia, e sarà una tua vittoria”, si legge. “Otterrai qualcosa che nessun altro presidente americano è riuscito a fare in decenni. Non è stato facile ma siamo riusciti a far sì che tutti si impegnino a raggiungere il 5%”, si legge ancora.
“I funzionari della Nato dovevano fare della Russia un mostro per far passare la decisione sull’aumento del budget militare al 5% del Pil”, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.
Giorgia Meloni, da parte sua, ha difeso Trump e si è schierata con la Nato. Il “caos” mondiale è “crescente”, ha scandito nell’Aula di Palazzo Madama, ma “non inizia oggi” e “non è stato generato” dal presidente Usa. E ancora: “Una difesa europea parallela alla Nato sarebbe un errore”, serve piuttosto “una colonna europea” dell’Alleanza Atlantica.
Per spiegare l’approccio improntato alla deterrenza la premier rispolvera un detto degli antichi romani: “Si vis pacem, para bellum” (Se vuoi la pace prepara la guerra), perché “se si hanno sistemi di sicurezza e di difesa solidi si possono più facilmente evitare conflitti”.
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Nato, Trump mette nel mirino la Spagna: vietato opporsi alla deriva bellicista
Dopo la rabbia per il mancato rispetto della tregua tra Israele e Iran, Donald Trump cambia obiettivo. Si proietta al vertice Nato e lo fa mettendo nel mirino la Spagna, tra i pochissimi Paesi dell’Alleanza contrari al raggiungimento del 5% del Pil in spese militari.
Per Trump “c’è un problema con la Spagna: non è d’accordo, il che è molto ingiusto nei confronti degli altri” alleati che fanno parte della Nato. Come al solito, non ci si può contrapporre alla posizione del presidente degli Stati Uniti, che non accetta alcun dissenso.
Vertice Nato, Trump mette nel mirino la Spagna
Trump mette quindi nel mirino la Spagna, anche per fare pressione e assicurarsi l’approvazione del 5% in spese militari. Un obiettivo che sembrava scontato, ma che secondo alcuni non lo è. Per esempio è il premier svedese, Ulf Kristersson, a sostenere che non ci sia nulla di scontato: “L’accordo sul 5% non è ancora concluso, non consideratelo un dato di fatto finché non avremo preso una decisione”.
Intanto Trump usa anche altri strumenti per mettere pressione agli alleati europei. Lo fa, per esempio, pubblicando quello che secondo il presidente Usa sarebbe un messaggio privato che gli ha inviato il segretario generale della Nato, Mark Rutte. Il quale si sarebbe complimentato per il “grande successo” del vertice de L’Aja, aggiungendo: “L’Europa pagherà il suo contributo in modo consistente, come è giusto che sia, e sarà una tua vittoria”.
Sempre Trump potrebbe essere il protagonista di un altro scontro nel vertice Nato, quello sul tema della guerra in Ucraina. Il presidente Usa potrebbe infatti ostacolare una dichiarazione in cui si parla di aggressione russa. “Dovrò dargli un’occhiata”, ha risposto Trump sull’Air Force One a chi gli chiedeva se sarebbe stato d’accordo nell’inserire un riferimento del genere.
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Mondo
Israele e Iran si scambiano colpi proibiti e mettono a rischio la tregua. E intanto a Gaza continua la strage di civili in fila per ricevere cibo e acqua
Da un lato, il fragile cessate il fuoco tra Israele e Iran, che rischia di saltare a causa delle reciproche violazioni della tregua; dall’altro, i raid sulla Striscia di Gaza, che continuano a mietere vittime innocenti nel silenzio generale dell’Occidente. Sono ore delicate per il Medio Oriente, dove tutti stanno trattenendo il fiato davanti alle accuse incrociate tra Tel Aviv e Teheran su presunti attacchi che i rispettivi eserciti avrebbero lanciato a tregua già iniziata.
Che qualcosa sia davvero successo lo ha detto molto chiaramente il presidente americano, Donald Trump, che ha accusato sia Israele che l’Iran di aver violato il cessate il fuoco, da lui stesso annunciato con grande entusiasmo soltanto poche ore prima. Si è detto “profondamente insoddisfatto” dell’atteggiamento di entrambi i Paesi, ma soprattutto di Benjamin Netanyahu, tanto da aver invitato lo Stato ebraico a “non sganciare altre bombe”, affermando: “Se lo fate, è una grave violazione. Riportate a casa i vostri piloti, ora!”.
Incalzato dai giornalisti, presenti in massa alla Casa Bianca, il tycoon ha ulteriormente precisato che, alla luce di quanto sta accadendo – e per disinnescare una nuova eventuale escalation – “devo trovare il modo per far calmare Israele adesso. Vedrò se riesco a fermare” le loro operazioni militari sull’Iran.
Un intervento che ha avuto successo, visto che lo stesso presidente americano, poco dopo, ha fatto sapere di aver avuto un’accesa conversazione con Netanyahu, convincendolo a “rinunciare a nuovi attacchi, facendo tornare a casa i caccia che erano già in volo”.
Israele e Iran si scambiano colpi proibiti e mettono a rischio la tregua. E intanto a Gaza continua la strage di civili in fila per ricevere cibo e acqua
Come spesso accade quando inizia una fragile tregua, le schermaglie tra i contendenti – in questo caso Iran e Israele – non si sono subito fermate. Anzi, sono proseguite nelle ore immediatamente successive all’inizio dello stop ai combattimenti.
A far scattare l’allarme sono state le Forze di Difesa israeliane (IDF), che hanno affermato di aver “identificato missili lanciati dall’Iran verso il territorio dello Stato di Israele”, nonostante il cessate il fuoco, aggiungendo che la minaccia è stata disinnescata dai “sistemi difensivi”.
Dichiarazioni a cui hanno fatto seguito quelle del ministro della Difesa, Israel Katz, che ha subito annunciato di aver “ordinato all’IDF di rispondere con decisione alla violazione del cessate il fuoco da parte dell’Iran con attacchi potenti contro obiettivi del regime nel cuore stesso di Teheran”. Un tentativo che, fortunatamente, è stato sventato da Trump con una telefonata a Netanyahu.
Accuse di violazione degli accordi a cui ha risposto il regime degli ayatollah, smentendo con forza di aver lanciato missili verso Israele dall’inizio della tregua, e sostenendo invece che a violare l’accordo sarebbe stato Israele con un raid che ha causato la morte di nove persone e il ferimento di altre 33 nella provincia di Gilan. Insomma, la situazione resta tesa e non si può escludere che nelle prossime ore ci saranno altri scontri. Ma soprattutto grazie all’intervento deciso di Trump, che ha intimato a entrambi i Paesi di rispettare i patti, tutto lascia presagire che la tregua, alla fine, reggerà.
La mattanza dimenticata di Gaza
In attesa di capire come evolverà la situazione, torna a far rumore l’operazione militare dell’IDF nella Striscia di Gaza, dove – complice il disinteresse dei leader occidentali – si continua a morire.
Una situazione che non sembra destinata a migliorare, visto che il ministro delle Finanze israeliano e leader dell’estrema destra, Bezalel Smotrich, ha usato parole di fuoco: “Abbiamo rimosso una minaccia esistenziale immediata e danneggiato gravemente il regime degli ayatollah iraniani, anche distruggendo decine di obiettivi a Teheran durante la notte. Ora concentriamoci con tutte le nostre forze su Gaza, per portare a termine il compito: distruggere Hamas, restituire i nostri ostaggi e garantire, con l’aiuto di Dio, molti anni di sicurezza a Israele”.
Parole a cui hanno fatto seguito i quotidiani raid israeliani che, a Gaza, hanno causato – secondo le stime fornite dalle autorità sanitarie della Striscia – almeno 51 vittime palestinesi, 25 delle quali erano in fila in attesa di ricevere aiuti umanitari, e il ferimento di oltre 150 civili. Ma mentre i bombardamenti e i blitz dell’IDF continuano a martellare la Striscia, in queste ore torna a riaffiorare una flebile speranza di pace: dal Qatar fanno sapere che, nei prossimi due giorni, il movimento estremista palestinese Hamas e Israele condurranno colloqui indiretti, nella speranza di chiudere un barbaro conflitto che va avanti impunemente da quasi due anni.
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Serbia e Bosnia ai ferri corti per una nuova crisi diplomatica: sospesa la cooperazione militare dopo lo sgarbo del ministro serbo
Le relazioni già fragili tra Serbia e Bosnia Erzegovina entrano in una nuova fase di tensione. Il ministro della Difesa bosniaco, Zukan Helez, ha annunciato la sospensione della cooperazione militare bilaterale con Belgrado, a seguito di un gesto definito “irrispettoso” da parte dell’omologo serbo Bratislav Gasic nei confronti dello Stato bosniaco e dei suoi simboli ufficiali.
Il casus belli risale al 12 maggio scorso, quando durante la celebrazione della Giornata dell’esercito della Repubblica Srpska, tenutasi in una caserma di Banja Luka, Gasic è rimasto seduto durante l’esecuzione dell’inno nazionale della Bosnia Erzegovina, accanto al leader serbo-bosniaco Milorad Dodik. Un gesto che Sarajevo ha letto come una chiara mancanza di rispetto istituzionale.
Serbia e Bosnia ai ferri corti per una nuova crisi diplomatica: sospesa la cooperazione militare dopo lo sgarbo del ministro serbo. Helez: “Nessuna cooperazione finché non arrivano le scuse ufficiali”
“La cooperazione militare tra Bosnia e Serbia resterà sospesa fino a quando il ministro Gasic non presenterà scuse ufficiali”, ha dichiarato Helez al termine di un incontro con il ministro serbo per la Riconciliazione e la cooperazione regionale, Usama Zukorlic. “Abbiamo inviato una nota ufficiale al ministero della Difesa serbo – ha aggiunto – ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta. Questo silenzio è inaccettabile”.
Il gesto di Gasic è stato considerato da Sarajevo come un affronto non solo allo Stato, ma anche a tutto il processo di riconciliazione che la regione balcanica cerca, faticosamente, di portare avanti da decenni. “Solo dopo le scuse del governo serbo – ha ribadito il ministro bosniaco – potremo riprendere un dialogo militare bilaterale costruttivo”.
Vecchie ferite che non si rimarginano
L’episodio si inserisce in un contesto già segnato da profondi dissidi storici e politici. Lo stesso Helez ha ricordato che tra Bosnia e Serbia restano aperti numerosi dossier delicati: la negazione del genocidio di Srebrenica, la questione dei confini e la presenza di persone accusate di crimini di guerra che si nasconderebbero in Serbia.
A rendere ancora più teso il clima c’è il ruolo ambivalente della Repubblica Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia, il cui presidente Dodik non ha mai nascosto simpatie separatiste e una linea dura contro le istituzioni centrali di Sarajevo. La sua vicinanza a Belgrado, e in particolare al presidente serbo Aleksandar Vučić, è spesso letta come un segnale di interferenza esterna negli affari interni della Bosnia.
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