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Mondo

Trent’anni fa il genocidio in Ruanda, cosa successe e qual è stato il ruolo dell’Occidente

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Sono passati 30 anni dal genocidio in Ruanda del 1994, un periodo buio segnato dalle terribili brutalità commesse da miliziani estremisti appartenenti alla maggioranza etnica hutu, che hanno causato la morte di circa 800mila persone, principalmente di etnia tutsi. Ieri (domenica 7 aprile) si è…

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Guerra Ucraina

Parte l’assedio finanziario contro la Russia: Usa, Ue, Cina e India mettono alle strette Putin

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La decisione di Donald Trump sulle sanzioni al petrolio russo è stata un colpo duro. Probabilmente il più duro da quando il tycoon è tornato a essere presidente degli Stati Uniti, insieme all’annuncio che non ci sarà alcun summit a Budapest. Mosca, in questi mesi, è stata sempre convinta di avere alla Casa Bianca un interlocutore in grado di capirla. Un leader diverso rispetto al predecessore, Joe Biden, e anche rispetto ai capi di Stato e di governo europei. Ma la mossa con cui Trump ha sanzionato i colossi russi Rosneft e Lukoil insieme alle loro controllate segna certamente uno spartiacque. Gli osservatori si interrogano sulla loro concreta efficacia dal punto di vista economico. Per qualcuno, serviranno solo a mettere ancora più pressione su un sistema economico già in crisi; per altri, tutto dipenderà da quanto Trump voglia premere su un altro acceleratore: quello delle sanzioni secondarie, cioè ai partner commerciali di Mosca.

Il pacchetto firmato dal presidente Usa prevede infatti sicuramente il congelamento dei beni di Lukoil e Rosneft in America e il divieto per aziende e cittadini statunitensi di fare affari con queste due compagnie. Ma quello che può davvero incidere sul destino di queste misure è la possibilità che Washington vada a colpire tutta la rete di interessi vicina all’oro nero del Cremlino: le banche cinesi, le raffinerie indiane, le compagnie di Stati partner fino ai trader mondiali. Molti esperti credono che l’impatto possa essere soprattutto nel breve periodo. E qualcosa, in effetti, si è iniziato già a muovere.

Ieri le fonti di Reuters hanno riferito che la Cina ha sospeso gli acquisti di petrolio russo via mare (quello acquistato dalle compagnie petrolifere nazionali e non dalle aziende “private”). Le stesse misure le sta prendendo l’India, principale acquirente di petrolio russo da quando Mosca è sotto sanzioni per la guerra in Ucraina. Alcune fonti da New Delhi parlano di tagli drastici o addirittura di stop a qualsiasi accordo con Rosneft e Lukoil finché non saranno chiare le restrizioni imposte dalle sanzioni made in Usa. E l’impressione è che questi provvedimenti di Trump stiano provocando due effetti distinti ma uniti tra loro. Da una parte la furia degli acquirenti di idrocarburi russi, al punto che il premier indiano Narendra Modi ha annunciato che non si recherà al vertice Asean di Kuala Lumpur dove avrebbe incontrato Trump. Dall’altra, invece, c’è anche (come osservato dalle mosse di Cina e India) un effettivo timore sulle conseguenze di queste sanzioni. Un risultato, questo, che è da sempre nel mirino del tycoon, desideroso di premere in tutti i modi sul resto del mondo per colpire le casse del Cremlino e costringere così Vladimir Putin a sedersi al tavolo dei negoziati.

Se Trump riuscirà nel suo intento lo si capirà solo con il tempo. Ma intanto, il segnale è stato lanciato. E il percorso continua a essere seguito anche dall’Unione europea. Il Consiglio Ue ha approvato il 19esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca in cui è previsto un divieto graduale di importazione di Gnl, il divieto di transazione per i giganti russi del petrolio e 117 nuove navi della “flotta ombra” con cui il Cremlino elude le sanzioni. Vengono colpite anche cinque banche russe e istituti in Bielorussia e Kazakistan. Ma vengono inserite nella lista degli interventi anche entità che in qualche modo aiutano la Russia a eludere le misure restrittive imposte da Ue e Usa. E tra queste sono coinvolte anche raffinerie in Cina e aziende in India e Thailandia.

Per la Russia si tratta di un assedio finanziario non indifferente. Da Mosca hanno detto che il sistema “è immune” ai provvedimenti. Ma è chiaro che la pressione nei confronti del Cremlino sta aumentando. E questo piace a Volodymyr Zelensky, che ieri, a Bruxelles, ha chiesto ai partner europei di insistere su questa strada. Sia a livello economico (con gli asset russi congelati) sia sul piano militare. Ieri il presidente ucraino ha invitato i Paesi del vecchio continente a fornire a Kyiv le armi a lungo raggio. E per Zelensky, solo il mix di armi, sanzioni e garanzie di sicurezza per l’Ucraina farà in modo che Putin si decida a sedersi al tavolo dei negoziati e porre fine alla guerra. Ma i segnali che arrivano non sono positivi, come dimostra il fatto che ieri pomeriggio un SU-30 e un IL-78 russi hanno brevemente violato lo spazio aereo della Lituania nei pressi del confine tra il Paese baltico e l’oblast di Kaliningrad.

L’articolo Parte l’assedio finanziario contro la Russia: Usa, Ue, Cina e India mettono alle strette Putin proviene da Il Riformista.

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Guerra Ucraina

L’Ue si muove per isolare lo Zar. E tiene congelati gli asset russi

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Anche l’Europa si muove. Con i suoi tempi e con i suoi limiti politici e istituzionali. Nel giorno in cui le sanzioni di Trump contro Rosneft e Lukoil, primi gruppi energetici russi, picchiano duro l’economia di Mosca, il Consiglio Europeo riunito a Bruxelles fa un altro passo verso l’isolamento del Cremlino.

E nelle conclusioni resta il punto in cui si concorda di “tenere congelati” gli asset russi nelle casseforti del Vecchio continente fino al risarcimento dovuto da Mosca dei danni della guerra. La formalizzazione del prestito all’Ucraina concesso utilizzando il denaro russo non è arrivata ieri come qualcuno sperava, ma fonti Ue si sono dichiarate fiduciose che l’iter possa concludersi nel consiglio previsto a metà dicembre. Le difficoltà sul tappeto, a cui gli esperti giuridici stanno lavorando, sono quelle note: prima di tutto le garanzie per i singoli Paesi (e soprattutto per il Belgio, in cui ha sede la società Euroclear, depositaria di gran parte dei soldi) contro eventuali rappresaglie, giudiziarie e no, dei russi. “La Russia ha molta paura che l’Europa possa prendere questa decisione”, ha detto il presidente Volodymyr Zelensky, anche lui a Bruxelles per una serie di incontri (da Friedrich Merz a Giorgia Meloni): “Per noi è molto importante avere questi soldi nel corso del 2026, preferibilmente all’inizio dell’anno, ma non so se sarà possibile”. Secondo le indiscrezioni emerse il piano allo studio prevede un’azione che coinvolgerà solo 26 Paesi, con l’esclusione dell’Ungheria, che si è chiamata fuori da ogni azione sul tema.

Parallelamente al problema dei soldi il vertice dei capi di Stato e di governo ha ribadito l’impegno politico a una difesa comune e rafforzato l’impianto delle sanzioni. In questo campo si sono fissati tempi e modi della progressiva riduzione dell’approvvigionamento di gas liquido russo, che nel 2024 valeva ancora la più che rispettabile cifra di 7 miliardi di euro. Le nuove sanzioni (quello di ieri era il pacchetto numero 19) hanno anche preso di una ventina di società cinesi, alcune di primo piano, e indiane, accusate di aiutare Mosca a evadere le restrizioni varate in precedenza. Un capitolo a parte è dedicato alle petroliere ombra fin qui riuscite a eludere il blocco del petrolio russo: sulla lista nera europea sono state iscritte altre 117 navi, portando il totale a quota 558. Tra le clausole previste l’impossibilità di accedere a servizi europei (per esempio nel campo della riassicurazione) per cinque anni anche nel caso di cessione a un nuovo proprietario. A essere sanzionati saranno anche i porti che movimenteranno merci di provenienza russa al di fuori dei casi consentiti.

A Zelensky è stato chiesto come valutava l’andamento degli ultimi giorni e in particolare il recente incontro con Trump. “Abbiamo le sanzioni alla Russia, non c’è più il vertice in Ungheria senza l’Ucraina, non abbiamo ancora i missili Tomahawk ma chissà, forse un giorno siamo destinati ad averli: tutto sommato non è andata male”.

Lui come i leader europei sperano che l’azione coordinata tra Europa e Stati Uniti possa finire con il mettere davvero in difficoltà l’economia russa che fin qui è sembrata superare tutti gli ostacoli. Il colpo più duro è, senza dubbio, quello della sanzioni Usa a Lukoil e Rosneft. La rinuncia degli acquirenti e cinesi e indiani al petrolio fornita dalle due società, annunciata ieri, potrebbe mettere in difficoltà il bilancio federale russo che per un terzo è basato sull’export energetico e che negli ultimi mesi ha visto triplicare il proprio deficit. Anche se, secondo alcuni analisti, una volta esaminata la portata delle sanzioni, gli acquisti potrebbero in parte ricominciare, riducendo l’impatto della decisione di Trump.

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Guerra Ucraina

Usa, svolta sanzioni. Anche la Cina blocca il petrolio russo. Putin: “Atto ostile”

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Dopo mesi di indecisioni, con l’obiettivo di perseguire la via diplomatica per porre fine al conflitto tra Russia e Ucraina, Donald Trump colpisce con le sanzioni i due giganti energetici di Mosca, Rosneft e Lukoil. Il presidente americano lamenta che i suoi colloqui con Vladimir Putin “non portano a nulla”, puntando il dito contro “il rifiuto dello zar del Cremlino di mettere fine a una guerra senza senso”. Il tycoon ha rimandato a lungo, ma ora “è il momento giusto” di rispondere alle richieste di Kiev e degli alleati occidentali con un pacchetto di sanzioni “tra le più ingenti che abbiamo mai imposto alla Russia”. Come chiarisce il segretario al Tesoro Scott Bessent: “Putin non si è presentato al tavolo delle trattative in modo onesto e schietto, come speravamo”, precisa, invitando i Paesi del G7 e altri alleati a “unirsi” agli Usa. In quest’ottica potrebbe pesare l’incontro, annunciato per giovedì a Seul, del presidente americano con il leader cinese Xi Jinping, in occasione del viaggio di Trump in Asia, a margine del vertice Asean in Corea del Sud, per il quale il presidente è partito nella notte italiana.

Le sanzioni – che comportano il congelamento di tutti i beni di Rosneft e Lukoil negli Stati Uniti, e impediscono a tutte le aziende Usa di fare affari con loro – fanno schizzare le quotazioni del petrolio, in forte rialzo a New York con un +5,09% a 61,48 dollari al barile. Le sanzioni annunciate da Trump sono un “atto ostile” e non rafforzano le relazioni russo-americane, afferma Putin, che parla di “reazioni sbalorditive”, ma il suo parere è che nessun Paese che si rispetti fa mai niente sotto pressione. Poi avverte che comunque non avranno un impatto significativo sull’economia russa. Mentre il segretario di stato americano Marco Rubio sottolinea che Washington sarà “sempre interessata a un dialogo se ci sarà l’opportunità di raggiungere la pace”. Mosca trova una sponda in Pechino, che dichiara di “opporsi” alle “sanzioni unilaterali che non si basano sul diritto internazionale e non sono autorizzate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Tuttavia, le principali compagnie petrolifere statali cinesi hanno sospeso gli acquisti di petrolio russo trasportato via mare dopo l’imposizione delle misure restrittive a Rosneft e Lukoil. Secondo Reuters, le compagnie nazionali del Dragone come PetroChina, Sinopec, Cnooc e Zhenhua Oil si asterranno dal commerciare petrolio russo trasportato via mare, almeno nel breve termine. Sebbene la Cina importi circa 1,4 milioni di barili di petrolio russo al giorno via mare, la maggior parte di questo viene acquistato da raffinerie indipendenti. Intanto, il capo dell’ufficio presidenziale ucraino, Andriy Yermak, sostiene che Trump ha dato il “via libera” al trasferimento dei sistemi di difesa aerea Patriot a Kiev. Quanto ai Tomahawk, continua, “il dialogo è in corso e non direi che questa porta sia chiusa”. Il comandante in capo, da parte sua, afferma che “ci vuole un anno per imparare a usare questi missili, e gli ucraini non possono farlo. L’unico modo in cui un Tomahawk può essere sparato è se lo spariamo noi, e non intendiamo farlo”. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, alla luce degli ultimi sviluppi, rivaluta l’incontro con The Donald: “Abbiamo le sanzioni alla Russia, non c’è un vertice in Ungheria senza l’Ucraina, non abbiamo ancora i Tomahawk ma chissà, forse un giorno li avremo: tutto sommato non male”, dice da Bruxelles. E tornando sugli agognati missili a lungo raggio: “Prima o poi ci arriveremo, sarà come per le sanzioni che prima sembravano impossibili. Ma ovviamente sarà il presidente Trump a decidere, è una questione sensibile”.

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Tendenza

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