Mondo
Tra Trump e Musk è guerra totale: il presidente Usa cancella i contratti con Tesla & Co mentre il magnate risponde chiedendo l’impeachment del tycoon
È scontro senza precedenti tra Donald Trump ed Elon Musk. La rottura tra il presidente Usa e il patron di Tesla, nata sulla legge di bilancio voluta da Trump (“manderà in bancarotta l’America, sostiene l’ex titolare del Doge), è degenerata nel corso di un paio di ore. In una raffica di post su X, l’ex consigliere si è scagliato contro Trump, minacciando di smantellare Dragon, la capsula orbitale essenziale per la Nasa, e dichiarandosi a favore dell’impeachment.
Per poi “sganciare la bomba: Donald Trump è nei file Epstein. Questo è il vero motivo per cui non sono stati resi pubblici”, ha scritto ancora Musk che su X ha lanciato un sondaggio: “”E’ giunto il momento di creare un nuovo partito politico in America che rappresenti veramente l’80% delle persone al centro?”. In precedenza, Trump, nel corso dell’incontro con il cancelliere tedesco Friedrich Merz alla Casa Bianca, si era detto “molto deluso” delle critiche alla legge di bilancio e aveva ammesso: “Non so se avremo ancora un grande rapporto, Elon è arrabbiato perché abbiamo eliminato il mandato sui veicoli elettrici. Conosceva la legge di bilancio meglio di quasi chiunque altro, e non ha mai avuto problemi fino a quando non ha lasciato” l’amministrazione.
Tra Trump e Musk è guerra totale: il presidente Usa cancella i contratti con Tesla & Co mentre il magnate risponde chiedendo l’impeachment del tycoon
“Falso – ha subito replicato Musk su X – questo disegno di legge non mi è mai stato mostrato, nemmeno una volta, ed è stato approvato nel cuore della notte, in tempi tanto rapidi che quasi nessuno al Congresso è riuscito a leggerlo!”.
Per poi incalzare: “Senza di me, Trump avrebbe perso le elezioni, i Democratici controllerebbero la Camera e i Repubblicani sarebbero 51-49 al Senato. Che ingratitudine!”. A quel punto, il presidente americano ha rincarato la dose e scritto su Truth che “il modo più semplice per risparmiare nel nostro bilancio, miliardi e miliardi di dollari, è revocare i finanziamenti e i contratti governativi di Elon”. In un altro post, ha ribadito di aver “revocato il mandato sui veicoli elettrici che obbligava tutti ad acquistare auto elettriche che nessun altro voleva (e che sapeva da mesi che avrei fatto!)” per cui Musk “è semplicemente impazzito”.
Non si è fatta attendere la risposta di Musk: “Alla luce della dichiarazione del Presidente Trump sulla cancellazione dei miei contratti governativi, SpaceX inizierà immediatamente a disattivare la sua navicella spaziale Dragon”. Il patron di Tesla si è espresso anche a favore dell’impeachment di Trump. “Sì” ha risposto su X condividendo il post di un utente che sosteneva che il presidente Usa dovesse essere messo sotto accusa e sostituito dal vice JD Vance. E poi ancora: “i dazi di Trump causeranno una recessione nella seconda metà del 2025”. Intanto, il titolo Tesla a Wall Street ha chiuso con un tonfo del 14%, perdendo in una sola seduta circa 150 miliardi di dollari di capitalizzazione, la più grande nella storia della società.
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Mondo
Sulla guerra in Ucraina, Usa e Ue sempre più distanti. Bruxelles vara il 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca mentre Washington pensa a tagliare gli aiuti militari a Kiev
Con la Russia che continua a bombardare l’Ucraina e ad avanzare nel Donbass, dove ha conquistato altri due villaggi, l’Unione Europea e gli Stati Uniti appaiono sempre più distanti sui passi da intraprendere per spingere le parti a porre fine alla guerra in Ucraina. Infatti, mentre il Consiglio UE ha dato il via libera a nuovi dazi sui prodotti agricoli e su alcuni fertilizzanti provenienti da Russia e Bielorussia, non ancora soggetti a dazi doganali aggiuntivi, così da ridurre la capacità di Mosca di finanziare la guerra, da Washington si preferisce evitare nuove sanzioni contro il Cremlino, scegliendo invece di fare pressioni su Volodymyr Zelensky.
A dirlo in modo chiaro è stato il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, che, in audizione al Congresso americano, ha ribadito che Donald Trump, dopo aver dirottato una fornitura di circa 20mila missili antiaerei dall’Ucraina al Medio Oriente, sta seriamente pensando di “ridurre ulteriormente gli aiuti militari a Kiev”.
Parole a cui ha risposto Zelensky, dicendosi sicuro — in un’intervista alla Bild — che “la Russia stia mentendo a Trump”, raccontandogli della propria disponibilità a trattare al fine di fare “in modo che non vengano applicate nuove sanzioni” nei confronti del Cremlino.
Lo zar “cerca semplicemente ragioni per attaccare. Non vuole mettere fine alla guerra”, ha aggiunto il leader di Kiev, prima di ammettere che l’eventuale riduzione delle forniture americane sarebbe “dolorosa” e potrebbe causare potenziali “conseguenze disastrose” per l’intero ordine mondiale.
Sulla guerra in Ucraina, Usa e Ue sempre più distanti. Bruxelles vara il 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca mentre Washington pensa a tagliare gli aiuti militari a Kiev
In questo scenario appare chiaro come il supporto dell’UE sia letteralmente vitale per la resistenza dell’Ucraina. Lo sa bene Zelensky che, sempre parlando con la Bild, ha chiesto all’Europa “maggiori sforzi per fornire sistemi di difesa anti-aerea”, auspicando anche “una veloce consegna dei missili Taurus” da parte del cancelliere Friedrich Merz.
Ed è in questo contesto che Bruxelles, rinnovando il suo supporto all’Ucraina “fino a quando sarà necessario”, ha dato il via libera al 18° pacchetto di sanzioni contro Mosca.
Misure che hanno mandato su tutte le furie il Cremlino, con l’amministrazione di Vladimir Putin che ha promesso di “rispondere alle sanzioni come abbiamo già fatto in precedenza”, ricordando come “con le sanzioni, gli europei spesso si danno la zappa sui piedi”, mentre — secondo Mosca — le conseguenze per la Russia sarebbero “minime”.
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Le proteste anti-Trump dilagano in tutti gli Stati Uniti: arresti, coprifuochi e scontri con la polizia proseguono per il settimo giorno consecutivo
Le proteste contro le politiche migratorie del presidente Donald Trump continuano ad allargarsi a macchia d’olio negli Stati Uniti, mentre cresce la tensione tra manifestanti e forze dell’ordine. Migliaia di persone sono scese in piazza la scorsa notte in numerose città, da Los Angeles a New York, per protestare contro le recenti operazioni dell’agenzia federale Ice e l’uso crescente della forza da parte dell’amministrazione.
Le mobilitazioni, iniziate venerdì scorso a Los Angeles, si sono intensificate dopo che la Casa Bianca ha disposto la mobilitazione della Guardia nazionale e dei Marine in California e imposto il coprifuoco in diverse aree urbane. La mossa ha innescato nuove manifestazioni in tutto il Paese e alimentato un clima di crescente scontro istituzionale.
Le proteste anti-Trump dilagano in tutti gli Stati Uniti: arresti, coprifuochi e scontri con la polizia proseguono per il settimo giorno consecutivo
A Seattle, nello Stato di Washington, otto persone sono state arrestate durante una manifestazione che inizialmente si era svolta in modo pacifico. La situazione è degenerata in serata, con lanci di oggetti contro la polizia e l’incendio di un cassonetto. A Spokane, sempre nello Stato di Washington, è stato dichiarato lo stato d’emergenza: oltre 30 arresti e l’impiego di fumogeni per disperdere i manifestanti.
A Las Vegas, la polizia ha dichiarato “assemblea illegale” un presidio nei pressi del tribunale federale e ha ordinato lo sgombero dell’area, minacciando arresti. A New York, circa 200 persone si sono radunate a Manhattan: anche qui si sono registrati alcuni fermi.
In Texas la Guardia nazionale è stata mobilitata preventivamente in vista di nuovi cortei. Il sindaco di Houston, John Whitmire, ha lanciato un appello alla calma. Altri cortei si sono svolti anche in Saint Louis, Denver, San Francisco, Chicago, Dallas, Filadelfia, Indianapolis, Milwaukee, Boston, Atlanta e Washington DC.
La linea dura dell’amministrazione
A Los Angeles, le autorità hanno dichiarato non autorizzata una manifestazione davanti al municipio e sono stati eseguiti tra i 20 e i 30 arresti, secondo quanto riferito dalla CNN. I disordini sarebbero scoppiati dopo una serie di retate dell’Ice, che nei giorni scorsi ha fermato decine di persone, anche nei luoghi di lavoro.
Il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha difeso la scelta del presidente Trump di mobilitare le forze armate. Parlando davanti al Congresso, ha definito l’intervento “necessario per creare un precedente” da replicare in altri Stati. “Si tratta anche di prevenzione – ha detto – se altrove si dovessero verificare rivolte o minacce alle forze dell’ordine, avremo la capacità di intervenire rapidamente”.
Non sono mancate critiche al governatore democratico della California, Gavin Newsom, accusato di “reticenza” nel cooperare con le forze federali. Anche la procuratrice generale Pam Bondi ha dichiarato che l’amministrazione “non ha paura di andare oltre”, lasciando intendere che il ricorso alla Legge sull’insurrezione – che autorizza l’impiego dell’esercito per sedare disordini interni – resta un’opzione concreta.
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Mondo
Nel mondo ci sono 122 milioni di sfollati da guerre, persecuzioni e violenze. Le Nazioni Unite lanciano l’allarme per l’instabilità globale
Sono oltre 122 milioni le persone costrette a fuggire da guerre, persecuzioni e violenze nel mondo. A certificarlo è l’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che oggi ha pubblicato il suo rapporto annuale Global Trends. Il dato – aggiornato ad aprile 2025 – rappresenta l’ennesimo record in una tendenza ininterrotta da dieci anni.
“Alla fine di aprile 2025 c’erano 122,1 milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case, contro i 120 milioni dello scorso anno”, si legge nel rapporto. A pesare maggiormente, come evidenzia l’Onu, sono i conflitti in Sudan, Myanmar e Ucraina, ma anche l’incapacità della politica internazionale di fermare i combattimenti.
Secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, “viviamo in un periodo di intensa volatilità nelle relazioni internazionali, con la guerra moderna che crea un panorama fragile e straziante, segnato da un’acuta sofferenza umana”. Grandi ha ribadito l’urgenza di “raddoppiare gli sforzi diplomatici per raggiungere la pace” e garantire soluzioni durature per chi è costretto a fuggire.
Sudan, la crisi peggiore al mondo
Tra i numeri più allarmanti spiccano quelli del Sudan, che con 14,3 milioni di rifugiati e sfollati interni supera la Siria (13,5 milioni) e diventa la maggiore crisi umanitaria al mondo. Seguono l’Afghanistan con 10,3 milioni e l’Ucraina con 8,8 milioni.
In totale, 73,5 milioni di persone sono oggi sfollate all’interno del proprio Paese, con un aumento di 6,3 milioni in un solo anno. I rifugiati internazionali – coloro che hanno attraversato un confine – sono invece 42,7 milioni.
I Paesi poveri sopportano il peso maggiore
Il rapporto sfata anche alcuni luoghi comuni: il 67% dei rifugiati rimane nei Paesi confinanti, e il 73% è ospitato da nazioni a basso e medio reddito. Un dato impressionante se si considera che i Paesi a basso reddito rappresentano appena il 9% della popolazione mondiale e lo 0,6% del PIL globale, ma accolgono il 19% dei rifugiati.
Tra i Paesi più impegnati ci sono Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Sudan e Uganda, che pur avendo risorse limitate offrono rifugio a milioni di persone in fuga.
Inoltre, il 60% delle persone costrette a fuggire non lascia mai il proprio Paese, rimanendo sfollato entro i confini nazionali, spesso in condizioni critiche.
Fondi umanitari fermi al 2015
Se i numeri crescono, i finanziamenti umanitari non seguono lo stesso ritmo. Secondo l’Unhcr, i fondi disponibili nel 2025 sono pari a quelli del 2015, mentre le emergenze si sono moltiplicate. “Una situazione insostenibile – avverte l’agenzia – che lascia le donne senza protezione, i bambini senza scuole, intere comunità senza acqua e cibo”.
Piccoli segnali di speranza
Nonostante il quadro drammatico, nel 2024 si è registrato un dato positivo: 9,8 milioni di persone sono tornate a casa, tra cui 1,6 milioni di rifugiati (il numero più alto degli ultimi vent’anni) e 8,2 milioni di sfollati interni. Tuttavia, molti di questi ritorni sono avvenuti in condizioni di forte instabilità politica e sociale, come accaduto in Afghanistan, dove centinaia di migliaia di persone sono rientrate in condizioni disperate.
“Abbiamo visto barlumi di speranza – ha dichiarato Filippo Grandi – quasi due milioni di siriani sono riusciti a tornare a casa. Ma ora serve un aiuto concreto per permettere loro di ricostruirsi una vita”.
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