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Tra Cambogia e Thailandia soffiano i venti di guerra: il governo di Phnom Penh vara il blocco totale delle importazioni da Bangkok

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La Cambogia ha annunciato il blocco totale delle importazioni di frutta e verdura dalla Thailandia, inasprendo ulteriormente le tensioni tra i due Paesi dopo lo scontro armato avvenuto il 28 maggio nella zona contesa del “Triangolo di smeraldo”, al confine tra Cambogia, Thailandia e Laos. A far esplodere la crisi, la morte di un soldato cambogiano durante uno scambio di colpi d’arma da fuoco tra i due eserciti, che si accusano reciprocamente di aver aperto il fuoco per primi.

La misura commerciale, anticipata ieri dall’ex primo ministro cambogiano Hun Sen, è stata ufficializzata oggi dal governo di Phnom Penh come risposta al mancato ripristino dei valichi di frontiera da parte di Bangkok. In un discorso alla nazione, Hun Sen – padre dell’attuale premier Hun Manet – aveva dato 24 ore di tempo al governo thailandese per riaprire i valichi, minacciando in caso contrario il blocco delle esportazioni agricole. “Abbiamo chiesto più volte una soluzione pacifica, ma solo un ladro ha paura del tribunale”, ha dichiarato riferendosi all’intenzione della Cambogia di ricorrere alla Corte internazionale di giustizia (Cig).

Tra Cambogia e Thailandia soffiano i venti di guerra: il governo di Phnom Penh vara il blocco totale delle importazioni da Bangkok

La tensione tra i due Paesi ha registrato un’escalation nelle ultime settimane. Bangkok ha aumentato i controlli alla frontiera, mentre Phnom Penh ha ordinato lo stato di “massima allerta” per le proprie truppe, ha chiuso un frequentato valico di confine, ha vietato la trasmissione di serie televisive thailandesi e ha ridotto la banda internet proveniente dal vicino. Non solo: il 15 giugno il governo cambogiano ha presentato alla Cig una richiesta formale per risolvere la disputa territoriale su quattro aree, tra cui la zona degli scontri armati e tre antichi templi.

Dietro alla crisi, una questione irrisolta che affonda le radici nel periodo coloniale francese: la delimitazione di circa 800 chilometri di confine tra i due Paesi. Già nel 1962 la Cig aveva riconosciuto alla Cambogia la sovranità sul tempio di Preah Vihear, sentenza ribadita nel 2013 anche per l’area circostante. Tuttavia, la Thailandia ha continuato a contestare la giurisdizione della Corte, alimentando un conflitto che dal 2008 ad oggi ha causato almeno 28 vittime in diversi episodi di scontro.

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Zelensky attacca Putin e avverte Trump: “La pace non può aspettare 50 giorni, le sanzioni servono subito”

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Con i missili che continuano ad abbattersi su Ucraina e Russia, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin continuano a rimpallarsi la responsabilità per i mancati progressi nei colloqui di pace.

In un’intervista al New York Post, il leader di Kiev ha dichiarato che il presidente russo “non è pronto a un compromesso. Ha fatto perdere tempo a Donald Trump. Vorrei che gli Stati Uniti, il Congresso e il presidente facessero pressione con le sanzioni. Prima si fa, meglio è”.

Il riferimento è al (quasi) ultimatum lanciato dall’inquilino della Casa Bianca all’omologo del Cremlino: se entro “50 giorni” non verrà siglato un accordo di pace, gli Stati Uniti imporranno “sanzioni mai viste” alla Russia. Una linea che Zelensky ha accolto con favore, pur sottolineando come la tempistica sia “troppo lunga”, perché – ha spiegato – “per noi ogni giorno di guerra comporta più morte e distruzione”.

Zelensky attacca Putin e avverte Trump: “La pace non può aspettare 50 giorni, le sanzioni servono subito”

Una posizione condivisa anche dal capo dell’Ufficio presidenziale ucraino, Andriy Yermak, che al britannico The Times ha spiegato come il presidente degli Stati Uniti potrebbe porre fine alla guerra in Ucraina entro la fine del 2025, qualora decidesse di introdurre nuove sanzioni economiche contro i Paesi che acquistano energia e materie prime dalla Russia.

Secondo Yermak, “solo i problemi economici possono davvero mettere sotto pressione il dittatore russo Vladimir Putin” e costringerlo a riconsiderare la prosecuzione del conflitto.

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A Gaza colpita pure la chiesa della Sacra Famiglia: ferito padre Romanelli. Meloni & co protestano, ma Conte li mette in riga: “Dopo mesi di silenzio ci risparmino le dichiarazioni e le frasi ipocrite”

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Malgrado le incoraggianti notizie sull’accoglimento, da parte di Hamas, della nuova proposta di pace di Israele, sulla Striscia continuano a piovere le bombe e a verificarsi “incidenti” – come li definisce l’Idf – l’ultimo dei quali ha riguardato la chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, colpita da alcuni missili israeliani. Un raid che ha indignato la comunità internazionale e in cui si sono registrati diversi feriti, tra cui padre Gabriel Romanelli – fortunatamente in modo lieve, a una gamba – e altri sei civili, due dei quali verserebbero in “condizioni critiche”.

Un bombardamento scioccante, difficilmente derubricabile a mero incidente, che ha colpito – danneggiandola seriamente – l’unica chiesa cattolica della Striscia, dove da mesi trovavano riparo dai bombardamenti circa 600 persone, sia cristiane che musulmane.

La reazione italiana

Dopo l’attacco, non sono mancate le reazioni dall’Italia. “I raid israeliani su Gaza colpiscono anche la chiesa della Sacra Famiglia. Sono inaccettabili gli attacchi contro la popolazione civile che Israele sta compiendo da mesi. Nessuna azione militare può giustificare un tale atteggiamento”, ha dichiarato la premier Giorgia Meloni. “Gli attacchi dell’esercito israeliano contro la popolazione civile a Gaza non sono più ammissibili. Nel raid è stata colpita anche la chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, un atto grave contro un luogo di culto cristiano. Tutta la mia vicinanza a padre Romanelli, rimasto ferito durante il raid. È tempo di fermarsi e trovare la pace”, ha scritto su X il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Parole, quelle rilasciate dal governo italiano, che hanno fatto infuriare il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, che su X ha tuonato: “I raid israeliani hanno colpito anche una chiesa che in questi mesi ha aperto le porte ai bambini di Gaza. Ci sono morti. È rimasto ferito anche padre Romanelli, ignorato in questi mesi quando denunciava: ‘Troppe vite perse, bisogna obbligare Israele a rispettare i diritti umani’. Poco fa il Governo ha bocciato la nostra richiesta di stracciare il memorandum di cooperazione militare fra Italia e Israele. Meloni e i suoi ci risparmino le dichiarazioni e le frasi ipocrite, ora, dopo silenzi, complicità e oltre 60mila palestinesi morti. Indecenti”.

Molto duro anche Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra e co-portavoce di Europa Verde, secondo cui: “Anche questa volta Giorgia Meloni si è rivelata la solita ipocrita, complice di Netanyahu. Dopo mesi di silenzio, si accorge ora che i raid israeliani colpiscono civili e perfino la chiesa cattolica di Gaza. Ma continua a non fare nulla: nessuna sanzione, nessuna revoca dell’accordo militare con Israele. Meloni è complice”.

Tel Aviv avvia un’indagine sull’incidente alla chiesa della Sacra Famiglia a Gaza

Davanti alle rimostranze dell’Italia, il ministero degli Esteri israeliano ha espresso “profondo dolore per i danni arrecati alla chiesa della Sacra Famiglia a Gaza City e per le eventuali vittime civili”, aggiungendo che “le Forze di difesa israeliane (Idf) stanno indagando su questo incidente, le cui circostanze non sono ancora chiare”, precisando che “Israele non prende mai di mira chiese o siti religiosi”.

Frasi di circostanza in cui si continua a ribadire la tesi del tragico incidente, a cui però pochi sembrano credere: la chiesa colpita è l’unica della Striscia ed era ben nota all’Idf.

Uno spiraglio di pace inatteso

A fronte di una giornata tanto drammatica, nella Striscia di Gaza torna a riaccendersi – in modo del tutto inaspettato – la speranza di giungere a un cessate il fuoco. Ad anticiparlo al Times of Israel è un alto funzionario di Tel Aviv, secondo cui un accordo tra Israele e Hamas è possibile e viene definito addirittura “probabile”.

Secondo fonti diplomatiche arabe coinvolte nei negoziati, a permettere la svolta sarebbe stata la decisione del primo ministro Benjamin Netanyahu di acconsentire al ritiro dell’Idf dal cosiddetto Corridoio di Morag, che separa Rafah da Khan Younis, e di ridurre la propria presenza anche nella stessa Rafah. Da parte sua, Hamas – secondo quanto riferito all’emittente egiziana Al-Rad – avrebbe dato il suo gradimento per questa proposta, definendola “un punto di partenza per giungere a un accordo complessivo” che ponga fine al conflitto.

Il gruppo si sarebbe detto disposto a rinunciare alla richiesta iniziale di un impegno israeliano formale per un cessate il fuoco permanente, accettando invece una garanzia personale del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sul rispetto della tregua fino al raggiungimento di un accordo finale.

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Schianto del volo Air India, lo scoop del Wall Street Journal: “Il comandante disattivò il carburante in volo”

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Nuovi elementi emergono nell’inchiesta sul devastante schianto del volo Air India avvenuto lo scorso mese, e potrebbero riscrivere completamente la dinamica di quanto accaduto in cabina di pilotaggio. Secondo un’inchiesta pubblicata dal Wall Street Journal, la causa del guasto ai motori del Boeing 787 Dreamliner sarebbe da ricondurre a una manovra del comandante, Sumeet Sabharwal, che avrebbe disattivato manualmente gli interruttori del flusso di carburante subito dopo il decollo.

L’accusa, se confermata, rappresenterebbe una svolta drammatica in un’indagine finora rimasta avvolta dal riserbo. Al centro della rivelazione, una registrazione contenuta nella scatola nera: dal dialogo tra i due piloti emerge che fu proprio il comandante a portare gli interruttori in posizione “cutoff”, interrompendo così il flusso di carburante verso i motori.

Il primo ufficiale, Clive Kunder, poco più che trentenne, avrebbe reagito con sorpresa e panico, chiedendo spiegazioni al comandante, che invece appariva calmo. I dettagli emergono da fonti vicine alla valutazione preliminare delle prove, visionate da funzionari statunitensi, citate dal quotidiano americano.

Schianto del volo Air India, lo scoop del Wall Street Journal: “Il comandante disattivò il carburante in volo”

Il primo rapporto preliminare delle autorità indiane, pubblicato la scorsa settimana, aveva riassunto lo scambio in cabina ma senza identificare chi dei due piloti avesse pronunciato le frasi. Ora, però, la ricostruzione del Wall Street Journal suggerisce che sia stato proprio Sabharwal, pilota esperto con una lunga carriera, a intervenire sugli interruttori, mentre il primo ufficiale aveva i comandi del velivolo e, secondo esperti del settore, sarebbe stato impegnato nelle operazioni di decollo e quindi con le mani occupate.

Va ricordato che lo stesso rapporto indiano non ha stabilito in modo definitivo le cause dell’incidente, né ha escluso l’ipotesi di problemi tecnici come difetti di progettazione o manutenzione.

Sulla vicenda è intervenuto anche il CEO di Air India, Campbell Wilson, che ha invitato a non trarre “conclusioni affrettate”, sottolineando che l’indagine è ancora in corso e “ben lontana dall’essere conclusa”. Un portavoce della compagnia aerea ha confermato la piena collaborazione con le autorità inquirenti.

Più dura la reazione del Ministero dell’Aviazione Civile indiano, che ha definito l’articolo del Wall Street Journal “unilaterale”, senza fornire ulteriori commenti.

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