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Shock negli Stati Uniti: l’ex presidente Biden ha un tumore aggressivo alla prostata

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Joe Biden, l’82enne ex presidente degli Stati Uniti, è stato colpito da un cancro alla prostata in stadio avanzato, con metastasi ossee. Lo ha annunciato il suo ufficio in una dichiarazione ufficiale, nella quale si precisa che la malattia, sebbene aggressiva, risponde positivamente alla terapia ormonale. “Lui e la sua famiglia stanno attualmente valutando le opzioni terapeutiche”, si legge nel comunicato.

La diagnosi è arrivata dopo che, all’inizio di maggio, un controllo di routine aveva rilevato un piccolo nodulo prostatico. Gli esami successivi hanno confermato la presenza del tumore, che si è già esteso alle ossa, una delle evoluzioni più temute in ambito oncologico. Tuttavia, la natura ormono-dipendente della neoplasia apre la strada a cure potenzialmente efficaci.

Solidarietà da tutto lo spettro politico

Alla notizia della malattia di Biden è seguita un’ondata di messaggi di sostegno da parte di leader politici americani, in particolare del Partito Democratico, ma non solo. Kamala Harris, sua ex vicepresidente e attuale candidata democratica alla Casa Bianca, ha scritto su X: “Joe è un combattente e so che affronterà questa sfida con la stessa forza, resilienza e ottimismo che hanno sempre caratterizzato la sua vita e la sua leadership”.

Anche Barack Obama, che ha condiviso con Biden otto anni alla Casa Bianca, ha voluto esprimere il suo affetto: “Nessuno ha fatto più di Joe per combattere il cancro. Sono certo che affronterà questa sfida con la determinazione e l’eleganza che lo caratterizzano. Preghiamo per una rapida e completa guarigione”.

Parole di stima anche da Bill Clinton, che ha ricordato il lungo rapporto di amicizia e collaborazione politica: “Il mio amico Joe Biden è sempre stato un combattente. Hillary e io lo sosteniamo e pensiamo a lui, a Jill e a tutta la sua famiglia”. La stessa Hillary Clinton ha sottolineato su X: “I miei pensieri sono con i Biden, che stanno affrontando il cancro, una malattia su cui hanno fatto così tanto per cercare di risparmiarla ad altre famiglie”.

Anche Trump Jr. invia un messaggio, ma con polemica

In un clima di sostanziale unità e vicinanza, ha fatto discutere il messaggio pubblicato da Donald Trump Jr., figlio dell’ex presidente repubblicano. Pur augurando a Biden una “pronta guarigione”, ha lasciato intendere che il tumore potesse essere noto già da tempo e forse taciuto: “Sebbene si tratti di una forma più aggressiva della malattia, il cancro sembra essere ormono-dipendente, il che consente un trattamento efficace”, ha scritto, aggiungendo un riferimento non troppo velato a un possibile “insabbiamento” durante il mandato presidenziale.

Shock negli Stati Uniti: l’ex presidente Biden ha un tumore aggressivo alla prostata

Durante il suo mandato, Biden aveva rilanciato con forza l’iniziativa “Cancer Moonshot”, già lanciata sotto l’amministrazione Obama, con l’obiettivo di dimezzare i tassi di mortalità per cancro. Una battaglia personale e politica nata dopo la morte del figlio Beau nel 2015 per un tumore al cervello.

La malattia arriva a poco meno di un anno dal termine del suo mandato presidenziale e dopo la sua scelta di non ricandidarsi per un secondo mandato, proprio in favore di Kamala Harris. La diagnosi segna un nuovo capitolo personale nella lunga vita pubblica dell’ex presidente, che oggi affronta forse la sfida più difficile.

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A Gaza colpita pure la chiesa della Sacra Famiglia: ferito padre Romanelli. Meloni & co protestano, ma Conte li mette in riga: “Dopo mesi di silenzio ci risparmino le dichiarazioni e le frasi ipocrite”

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Malgrado le incoraggianti notizie sull’accoglimento, da parte di Hamas, della nuova proposta di pace di Israele, sulla Striscia continuano a piovere le bombe e a verificarsi “incidenti” – come li definisce l’Idf – l’ultimo dei quali ha riguardato la chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, colpita da alcuni missili israeliani. Un raid che ha indignato la comunità internazionale e in cui si sono registrati diversi feriti, tra cui padre Gabriel Romanelli – fortunatamente in modo lieve, a una gamba – e altri sei civili, due dei quali verserebbero in “condizioni critiche”.

Un bombardamento scioccante, difficilmente derubricabile a mero incidente, che ha colpito – danneggiandola seriamente – l’unica chiesa cattolica della Striscia, dove da mesi trovavano riparo dai bombardamenti circa 600 persone, sia cristiane che musulmane.

La reazione italiana

Dopo l’attacco, non sono mancate le reazioni dall’Italia. “I raid israeliani su Gaza colpiscono anche la chiesa della Sacra Famiglia. Sono inaccettabili gli attacchi contro la popolazione civile che Israele sta compiendo da mesi. Nessuna azione militare può giustificare un tale atteggiamento”, ha dichiarato la premier Giorgia Meloni. “Gli attacchi dell’esercito israeliano contro la popolazione civile a Gaza non sono più ammissibili. Nel raid è stata colpita anche la chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, un atto grave contro un luogo di culto cristiano. Tutta la mia vicinanza a padre Romanelli, rimasto ferito durante il raid. È tempo di fermarsi e trovare la pace”, ha scritto su X il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Parole, quelle rilasciate dal governo italiano, che hanno fatto infuriare il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, che su X ha tuonato: “I raid israeliani hanno colpito anche una chiesa che in questi mesi ha aperto le porte ai bambini di Gaza. Ci sono morti. È rimasto ferito anche padre Romanelli, ignorato in questi mesi quando denunciava: ‘Troppe vite perse, bisogna obbligare Israele a rispettare i diritti umani’. Poco fa il Governo ha bocciato la nostra richiesta di stracciare il memorandum di cooperazione militare fra Italia e Israele. Meloni e i suoi ci risparmino le dichiarazioni e le frasi ipocrite, ora, dopo silenzi, complicità e oltre 60mila palestinesi morti. Indecenti”.

Molto duro anche Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra e co-portavoce di Europa Verde, secondo cui: “Anche questa volta Giorgia Meloni si è rivelata la solita ipocrita, complice di Netanyahu. Dopo mesi di silenzio, si accorge ora che i raid israeliani colpiscono civili e perfino la chiesa cattolica di Gaza. Ma continua a non fare nulla: nessuna sanzione, nessuna revoca dell’accordo militare con Israele. Meloni è complice”.

Tel Aviv avvia un’indagine sull’incidente alla chiesa della Sacra Famiglia a Gaza

Davanti alle rimostranze dell’Italia, il ministero degli Esteri israeliano ha espresso “profondo dolore per i danni arrecati alla chiesa della Sacra Famiglia a Gaza City e per le eventuali vittime civili”, aggiungendo che “le Forze di difesa israeliane (Idf) stanno indagando su questo incidente, le cui circostanze non sono ancora chiare”, precisando che “Israele non prende mai di mira chiese o siti religiosi”.

Frasi di circostanza in cui si continua a ribadire la tesi del tragico incidente, a cui però pochi sembrano credere: la chiesa colpita è l’unica della Striscia ed era ben nota all’Idf.

Uno spiraglio di pace inatteso

A fronte di una giornata tanto drammatica, nella Striscia di Gaza torna a riaccendersi – in modo del tutto inaspettato – la speranza di giungere a un cessate il fuoco. Ad anticiparlo al Times of Israel è un alto funzionario di Tel Aviv, secondo cui un accordo tra Israele e Hamas è possibile e viene definito addirittura “probabile”.

Secondo fonti diplomatiche arabe coinvolte nei negoziati, a permettere la svolta sarebbe stata la decisione del primo ministro Benjamin Netanyahu di acconsentire al ritiro dell’Idf dal cosiddetto Corridoio di Morag, che separa Rafah da Khan Younis, e di ridurre la propria presenza anche nella stessa Rafah. Da parte sua, Hamas – secondo quanto riferito all’emittente egiziana Al-Rad – avrebbe dato il suo gradimento per questa proposta, definendola “un punto di partenza per giungere a un accordo complessivo” che ponga fine al conflitto.

Il gruppo si sarebbe detto disposto a rinunciare alla richiesta iniziale di un impegno israeliano formale per un cessate il fuoco permanente, accettando invece una garanzia personale del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sul rispetto della tregua fino al raggiungimento di un accordo finale.

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Schianto del volo Air India, lo scoop del Wall Street Journal: “Il comandante disattivò il carburante in volo”

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Nuovi elementi emergono nell’inchiesta sul devastante schianto del volo Air India avvenuto lo scorso mese, e potrebbero riscrivere completamente la dinamica di quanto accaduto in cabina di pilotaggio. Secondo un’inchiesta pubblicata dal Wall Street Journal, la causa del guasto ai motori del Boeing 787 Dreamliner sarebbe da ricondurre a una manovra del comandante, Sumeet Sabharwal, che avrebbe disattivato manualmente gli interruttori del flusso di carburante subito dopo il decollo.

L’accusa, se confermata, rappresenterebbe una svolta drammatica in un’indagine finora rimasta avvolta dal riserbo. Al centro della rivelazione, una registrazione contenuta nella scatola nera: dal dialogo tra i due piloti emerge che fu proprio il comandante a portare gli interruttori in posizione “cutoff”, interrompendo così il flusso di carburante verso i motori.

Il primo ufficiale, Clive Kunder, poco più che trentenne, avrebbe reagito con sorpresa e panico, chiedendo spiegazioni al comandante, che invece appariva calmo. I dettagli emergono da fonti vicine alla valutazione preliminare delle prove, visionate da funzionari statunitensi, citate dal quotidiano americano.

Schianto del volo Air India, lo scoop del Wall Street Journal: “Il comandante disattivò il carburante in volo”

Il primo rapporto preliminare delle autorità indiane, pubblicato la scorsa settimana, aveva riassunto lo scambio in cabina ma senza identificare chi dei due piloti avesse pronunciato le frasi. Ora, però, la ricostruzione del Wall Street Journal suggerisce che sia stato proprio Sabharwal, pilota esperto con una lunga carriera, a intervenire sugli interruttori, mentre il primo ufficiale aveva i comandi del velivolo e, secondo esperti del settore, sarebbe stato impegnato nelle operazioni di decollo e quindi con le mani occupate.

Va ricordato che lo stesso rapporto indiano non ha stabilito in modo definitivo le cause dell’incidente, né ha escluso l’ipotesi di problemi tecnici come difetti di progettazione o manutenzione.

Sulla vicenda è intervenuto anche il CEO di Air India, Campbell Wilson, che ha invitato a non trarre “conclusioni affrettate”, sottolineando che l’indagine è ancora in corso e “ben lontana dall’essere conclusa”. Un portavoce della compagnia aerea ha confermato la piena collaborazione con le autorità inquirenti.

Più dura la reazione del Ministero dell’Aviazione Civile indiano, che ha definito l’articolo del Wall Street Journal “unilaterale”, senza fornire ulteriori commenti.

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In Senegal è la fine di un’era: dopo oltre 60 anni la Francia chiude la sua presenza militare nel Paese africano

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Con una cerimonia simbolica tenutasi questa mattina nella capitale senegalese, la Francia ha ufficialmente posto fine alla propria presenza militare in Senegal, segnando la conclusione di oltre sei decenni di cooperazione armata tra Parigi e Dakar. È una svolta storica nei rapporti tra la ex potenza coloniale e uno dei suoi più importanti partner africani.

Durante la cerimonia, la Francia ha restituito allo Stato senegalese il campo Geille e lo scalo aeronautico presso l’aeroporto di Dakar, due infrastrutture militari che da anni ospitavano il contingente transalpino. A rappresentare i due Paesi, il generale Mbaye Cissé, capo di Stato maggiore dell’esercito senegalese, e il generale Pascal Ianni, comandante delle forze francesi nel Paese.

Fino a oggi, la Francia manteneva circa 350 soldati in Senegal, impegnati in missioni di addestramento e operazioni congiunte con l’esercito locale. Ma la decisione del presidente senegalese Bassirou Diomaye Faye, annunciata nel novembre 2024, ha tracciato una nuova rotta: quella dell’autonomia strategica e della progressiva liberazione dagli apparati militari stranieri.

In Senegal è la fine di un’era: dopo oltre 60 anni la Francia chiude la sua presenza militare nel Paese africano

La scelta del Senegal si inserisce in un più ampio processo di ritiro della Francia dall’Africa occidentale, avviato già nel 2022 con il disimpegno dal Mali, seguito da Burkina Faso, Niger e Ciad. Nel continente, resta attivo solo il campo in Gabon, dedicato alla formazione dei soldati africani, ma anche in quel caso il futuro appare incerto.

Il gesto di oggi non è soltanto formale: rappresenta una frattura simbolica con il passato coloniale e un segnale di trasformazione profonda negli equilibri geopolitici della regione. La fine della presenza militare francese in Senegal potrebbe spingere altri Paesi africani a rinegoziare i propri rapporti con Parigi, mentre nuovi attori internazionali — dalla Cina alla Russia, fino alla Turchia — avanzano le proprie influenze nel continente.

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