Mondo
Libano e Gaza, due guerre diverse per Israele
Se il cessate il fuoco sarà confermato anche nei giorni successivi la sua entrata in vigore, quella che appare chiara è la sconfitta militare di Hezbollah. E di conseguenza la vittoria di Israele: sanguinosi, con modalità e bilanci di vittime libanesi simili a quelli palestinesi di Gaza, lo stato ebraico ha raggiunto i suoi obiettivi politici.
L’accordo continua ad avere ancora alcuni punti oscuri: chi interviene se una delle due parti provoca un incidente nei 60 giorni stabiliti di attuazione del compromesso? L’esercito libanese dovrebbe prendere il controllo della frontiera con la Siria da dove passavano le armi iraniane per Hezbollah; e soprattutto presidiare il Sud del Libano. Ma alcune brigate dell’Armée sono sciite e molti sostengono Hezbollah. Infine, è quasi fatale che a Sud del fiume Litani i caschi blu dell’Unifil debbano allargare le loro competenze: i paesi che forniscono i militari (Italia compresa) lo vorranno fare?
I bombardamenti israeliani hanno inflitto colpi pesanti al sistema di potere e alle capacità militari di Hezbollah. Forse è solo a tempo determinato ma a questo assomiglia l’accordo: a una resa. Non sarebbe stata possibile senza il consenso di Teheran, del quale il movimento libanese è sempre stato il più disciplinato nella galassia pro-iraniana della regione.
Appare difficile che Hezbollah, spinto da ambizioni regionali, accetti di diventare un partito politico con un’agenda solo libanese. Ma non sarebbe la prima organizzazione armata a prendere questa strada: già lo fece l’Olp palestinese. Nella demografia settaria del Libano, da tempo gli sciiti sono maggioranza relativa: partecipando alle elezioni Hezbollah diventerebbe il primo partito in Parlamento. La sua influenza continuerebbe ad essere grande.
Questi sono i lati incerti della medaglia di un accordo che, se rispettato, è comunque importante, apparentemente solido, capace di fermare la guerra e stabilizzare il Libano. Potrebbe essere un modello per l’altro conflitto del Levante, quello di Gaza? La pioggia di razzi su Israele, sosteneva Hezbollah, era il suo modo di essere solidale con l’aggressione israeliana nella striscia.
Tuttavia, è illusorio che il primo cessate il fuoco sia il prodromo di un secondo. Le due guerre sono diametralmente diverse. Almeno dopo la pace di Camp David con l’Egitto del 1978, Israele ha sempre cercato un compromesso con i paesi arabi: l’Egitto appunto, la Giordania, gli accordi di Abramo, la miriade di impliciti riconoscimenti attraverso gli uffici d’interesse economico. Prima del massacro di Gaza anche l’Arabia Saudita lo desiderava.
I palestinesi sono un’altra storia: vivono sulla stessa terra degli israeliani ed entrambi la rivendicano. Fino a che non avrà una frontiera orientale definita, Israele resterà uno stato incompiuto. Fisserebbe il confine una volta per tutte la nascita di uno stato palestinese ma gli alleati estremisti di Netanyahu farebbero cadere il governo. Oppure Israele potrebbe annettere la Cisgiordania, come vuole il governo di estrema destra di Netanyahu. In questo caso la frontiera che arriverebbe al fiume Giordano, non sarebbe riconosciuta dalla comunità internazionale.
In Libano Israele era entrato con lo scopo politico di sollevare le comunità cristiane e sunnite libanesi, stanche dei conflitti di Hezbollah; offrire un percorso negoziale alla comunità internazionale e far rispettare le risoluzioni Onu.
A Gaza no, il suo scopo è fondamentalmente opposto. Israele non ascolta le deliberazioni delle Nazioni Unite e nessun progetto politico accompagna un intervento militare che sembra senza uscita. L’unico obiettivo politico “forte” rilevabile è la ricolonizzazione della striscia, pretesa dagli estremisti al potere.
È paradossale che il governo Netanyahu stia liberando il Libano dai suoi sequestratori di Hezbollah: finalmente entro 60 giorni il parlamento di Beirut potrà eleggere un presidente. Mentre a Gaza ignora il destino di un centinaio di ostaggi israeliani ancora nei tunnel di Hamas.
Solo i più estremisti del movimento già abbastanza estremista dei coloni nazional-religiosi, pensano che Eretz Israel debba arrivare fino a Sidone. Una parte della frontiera fra i due paesi è ancora contesa ma Israele si è ritirato completamente dal Libano nel 2000. È invece probabile che le brigate dell’esercito che non dovranno più combattere a Nord, siano spostate a Gaza e soprattutto nella Cisgiordania occupata. Daranno respiro e speranze al Libano ma continueranno a reprimere, distruggere e uccidere qualche terrorista e la maggioranza dei civili palestinesi innocenti.
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Il presidente americano eletto Donald Trump chiede il cessate il fuoco immediato in Ucraina e l’avvio dei negoziati per mettere fino al conflitto: “Conosco bene Putin e la Cina può aiutare”
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Chi era Artem Antonov, il soldato russo di 19 anni ucciso perché non voleva combattere in Ucraina
Un’altra macchia di sangue nella guerra tra Russia e Ucraina: un ragazzo di appena 19 anni, Artem Antonov, è stato ucciso da un suo ufficiale a causa del suo rifiuto di combattere in Ucraina. Dell’omicidio si apprende soltanto in queste ore, ma risale allo scorso 21 ottobre in un campo di addestramento ed è stato denunciato dalla famiglia del giovane e riportato da “Storie importanti”.
Chi era Artem Antonov il soldato russo di 19 anni ucciso perché non voleva combattere in Ucraina
Antonov, originario del Tatarstan, era stato assegnato alle unità di fucilieri motorizzati nella regione di Kursk, vicino al confine ucraino. Durante una sessione di addestramento sulle armi, l’ufficiale, la cui identità rimane ignota (con i parenti che conoscendolo, temono di divulgarla per ritorsioni) avrebbe disattivato la sicura del suo AK-12 e ha sparato una raffica, colpendo mortalmente il ragazzo. Secondo la famiglia, che ha denunciato il fatto, erano stati diversi i campanelli d’allarme prima dell’omicidio.
In precedenza infatti il giovane era stato sottoposto a torture e vessazioni per il suo rifiuto di firmare un contratto per il fronte. In un post sui social, cancellato dopo la sua morte, Antonov aveva confidato di essere stato picchiato con barre di ferro e costretto a turni massacranti. Un necrologio pubblicato online descrive il 19enne come un giovane che “ha sacrificato la sua vita per la patria”, ma la vicenda solleva interrogativi inquietanti sulla brutalità e il clima di coercizione all’interno delle forze armate russe.
L’articolo Chi era Artem Antonov, il soldato russo di 19 anni ucciso perché non voleva combattere in Ucraina proviene da Il Riformista.
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