Mondo
La fantaguerra di Kiev
Quello che mi colpisce della guerra in Ucraina è la gigantesca dose di menzogne che Kiev spaccia e che i giornali riprendono in modo acritico. Capisco che in guerra la bugia è legittima, ma qui si esagera…
Fulvio Torelli
via email
Gentile lettore, questa rubrica è stata la prima a dire, e in seguito quasi l’unica a sostenere, che se esistesse l’Oscar per il film di fantaguerra, da tre anni sarebbe assegnato a Zelensky (veda La Notizia del 13 aprile 2022). L’elenco delle invenzioni è sconfinato e non riguarda solo le inesistenti malattie di Putin, curate bevendo tazze di sangue di cervo. C i sono cose ancora più allucinanti, spacciate come sacrosanta verità dai giornali occidentali ma tutte vistosamente false. Del resto, si è mai chiesto perché, dopo la denuncia di Kiev di centinaia o migliaia di (presunti) crimini di guerra russi, la Corte penale internazionale abbia incriminato Putin per il solo e risibile reato di “rapimento di bambini”? La risposta è: perché tutti i fatti denunciati da Kiev si sono dimostrati fasulli, insostenibili in tribunale. Così si è ripiegato su una cosa vaga, poco circostanziata, al solo scopo di creare difficoltà a Mosca. L’Ucraina parlava di 1,5 milioni di bambini “rapiti”. Poi diventarono 300 mila. Poi 20 mila. Infine l’altro giorno a Istanbul la delegazione di Kiev ha fornito l’elenco completo: sono 339 bambini. I russi replicano: faremo una ricerca, ma non abbiamo rapito nessuno, abbiamo solo messo in salvo dalla zona di guerra alcuni minori dispersi; quelli che sono stati identificati li abbiamo restituiti alle famiglie. Ma la fantaguerra continua e ne vedremo delle altre.
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Mondo
Nel mondo ci sono 122 milioni di sfollati da guerre, persecuzioni e violenze. Le Nazioni Unite lanciano l’allarme per l’instabilità globale
Sono oltre 122 milioni le persone costrette a fuggire da guerre, persecuzioni e violenze nel mondo. A certificarlo è l’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che oggi ha pubblicato il suo rapporto annuale Global Trends. Il dato – aggiornato ad aprile 2025 – rappresenta l’ennesimo record in una tendenza ininterrotta da dieci anni.
“Alla fine di aprile 2025 c’erano 122,1 milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case, contro i 120 milioni dello scorso anno”, si legge nel rapporto. A pesare maggiormente, come evidenzia l’Onu, sono i conflitti in Sudan, Myanmar e Ucraina, ma anche l’incapacità della politica internazionale di fermare i combattimenti.
Secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, “viviamo in un periodo di intensa volatilità nelle relazioni internazionali, con la guerra moderna che crea un panorama fragile e straziante, segnato da un’acuta sofferenza umana”. Grandi ha ribadito l’urgenza di “raddoppiare gli sforzi diplomatici per raggiungere la pace” e garantire soluzioni durature per chi è costretto a fuggire.
Sudan, la crisi peggiore al mondo
Tra i numeri più allarmanti spiccano quelli del Sudan, che con 14,3 milioni di rifugiati e sfollati interni supera la Siria (13,5 milioni) e diventa la maggiore crisi umanitaria al mondo. Seguono l’Afghanistan con 10,3 milioni e l’Ucraina con 8,8 milioni.
In totale, 73,5 milioni di persone sono oggi sfollate all’interno del proprio Paese, con un aumento di 6,3 milioni in un solo anno. I rifugiati internazionali – coloro che hanno attraversato un confine – sono invece 42,7 milioni.
I Paesi poveri sopportano il peso maggiore
Il rapporto sfata anche alcuni luoghi comuni: il 67% dei rifugiati rimane nei Paesi confinanti, e il 73% è ospitato da nazioni a basso e medio reddito. Un dato impressionante se si considera che i Paesi a basso reddito rappresentano appena il 9% della popolazione mondiale e lo 0,6% del PIL globale, ma accolgono il 19% dei rifugiati.
Tra i Paesi più impegnati ci sono Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Sudan e Uganda, che pur avendo risorse limitate offrono rifugio a milioni di persone in fuga.
Inoltre, il 60% delle persone costrette a fuggire non lascia mai il proprio Paese, rimanendo sfollato entro i confini nazionali, spesso in condizioni critiche.
Fondi umanitari fermi al 2015
Se i numeri crescono, i finanziamenti umanitari non seguono lo stesso ritmo. Secondo l’Unhcr, i fondi disponibili nel 2025 sono pari a quelli del 2015, mentre le emergenze si sono moltiplicate. “Una situazione insostenibile – avverte l’agenzia – che lascia le donne senza protezione, i bambini senza scuole, intere comunità senza acqua e cibo”.
Piccoli segnali di speranza
Nonostante il quadro drammatico, nel 2024 si è registrato un dato positivo: 9,8 milioni di persone sono tornate a casa, tra cui 1,6 milioni di rifugiati (il numero più alto degli ultimi vent’anni) e 8,2 milioni di sfollati interni. Tuttavia, molti di questi ritorni sono avvenuti in condizioni di forte instabilità politica e sociale, come accaduto in Afghanistan, dove centinaia di migliaia di persone sono rientrate in condizioni disperate.
“Abbiamo visto barlumi di speranza – ha dichiarato Filippo Grandi – quasi due milioni di siriani sono riusciti a tornare a casa. Ma ora serve un aiuto concreto per permettere loro di ricostruirsi una vita”.
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Guerra Ucraina
Ucraina, raid prima di un nuovo scambio
Colpite Kharkiv e Odessa. Oggi il rientro di mille soldati feriti
Guerra Ucraina
Don Stefano Caprio: “Nell’URSS c’era più libertà che nella Russia di Putin. Leone XIV? Più diplomatico, Francesco bloccato per eccesso di protagonismo”
Vladimir Medinsky, capo della delegazione russa nei negoziati di Istanbul con l’Ucraina, ha detto al Wall Street Journal che Mosca vuole la pace. Il problema però è che per il consigliere de Cremlino, se Kyiv “continuerà a lasciarsi guidare dagli interessi nazionali altrui, allora saremo semplicemente costretti a reagire”. E in questa “reazione” da parte russa, c’è anche la conquista di altri territori. Uno, in particolare, sembra essere quello di Dnipro, dove le truppe russe iniziano a premere con sempre maggiore forza. E mentre la Russia ha restituito 1.212 corpi di militari ucraini caduti in guerra (in attesa del nuovo scambio di prigionieri feriti che avverrà oggi), i raid contro le città del Paese invaso non si fermano. Ieri, altre tre vittime si sono registrate a Kharkiv, colpita da una nuova pioggia di droni.
Attacchi che per Volodymyr Zelensky confermano che “la pressione attuale non è sufficiente” a fermare Mosca. E le speranze di un negoziato per una pace “giusta” sembrano ormai appese a un filo sempre più sottile. Donald Trump ci spera, altri Stati si muovono. E tra le forze globali coinvolte nel tentativo di dialogo c’è anche la Santa Sede. Un attore che ha cercato in ogni modo di fare da mediatore, soprattutto sul lato umanitario E che adesso, con Papa Leone XIV, cerca di rafforzare il suo impegno diplomatico. E per don Stefano Caprio, professore di storia e cultura russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma, la telefonata tra Leone e Vladimir Putin è un primo segnale da non sottovalutare.
Professore, quanto è reale l’interesse di Putin per le parole e le mosse del pontefice?
«In Russia si guarda da sempre con attenzione al Vaticano, perché Mosca vuole essere la ‘Terza Roma’. Ai tempi sovietici, il papato era il primo nemico, quindi quello a cui guardare più attentamente… e Putin ha imparato da Josip Stalin».
E di Unione Sovietica lei ne sa qualcosa. Com’è stato il suo periodo di missione in Russia?
«Sono andato lì per la prima volta nel 1982, era ancora vivo Leonid Breznev, e ho lavorato stabilmente in Russia dal 1987 al 2002. Ho visto tutti i passaggi di epoca, ma devo dire che in Unione Sovietica c’era più libertà che nella Russia di Putin. Mentre il decennio di Boris Eltsin è stato il classico ‘periodo di passaggio’ della storia russa, dove tutto si è rimesso in gioco, ed è stato veramente emozionante».
Tornando all’attualità, Leone è molto diverso da Francesco. Qual è la loro differenza nel rapporto con la Russia?
«La differenza principale non sta tanto nella personalità, comunque abbastanza evidente, ma nell’uso della diplomazia che ha permesso una telefonata diretta con Putin. A Francesco non era riuscito per il suo eccesso di protagonismo, di certo non gradito al Cremlino».
Dopo che Mosca ha bocciato il negoziato proposto dalla Santa Sede, cosa spera di ottenere Putin dal Vaticano?
«La bocciatura non è stata definitiva ma solo interlocutoria, e le motivazioni di Sergei Lavrov sono indicative. Innanzitutto, ha parlato di sede inopportuna per due Paesi ortodossi, riconoscendo di fatto all’Ucraina lo status di Paese. Poi ora dialogano a Istanbul, sede del patriarcato di Costantinopoli. Ma vista l’inconsistenza delle trattative, si potrebbe davvero tornare alla “prima Roma”, più capace di dialogare con Mosca rispetto alle altre Chiese e Paesi ortodossi».
Quali sono le “armi” di Leone nei rapporti tra i due Stati in guerra?
«Un’arma fondamentale, dal punto di vista della Russia, sono le motivazioni. Mosca è entrata in guerra dicendo di ‘difendere gli autentici valori morali e spirituali’ contro il degradato Occidente e la ‘nazificata’ Ucraina. La Santa Sede è l’interlocutore privilegiato per il dialogo sui “valori”, e papa Leone sembra più affidabile in questo senso. Rimangono inoltre le interlocuzioni per le azioni umanitarie, che non solo un’esclusiva del Vaticano, ma che ha grande importanza in questo campo».
Pensa che sia possibile un viaggio del Papa a Kyiv o a Mosca?
«Non è una questione attuale, ma certamente si riproporrà dopo un eventuale accordo di pace, e potrebbe essere un suggello molto simbolico di una situazione per ora ancora troppo instabile».
Leone tenterà un dialogo con il Patriarcato di Mosca, o prediligerà i rapporti con quello di Costantinopoli?
«La Chiesa cattolica è quella che ha il rapporto migliore con la Chiesa russa, se non si considerano quelle di Antiochia e di Serbia, anch’essi comunque ambigui. Le altre Chiese legate a Costantinopoli non dialogano con Mosca, e Roma può essere invece un centro di confronto veramente “ecumenico”. Inoltre, il patriarca Kirill desidera certamente rinnovare l’incontro con il papa, dopo quello con Francesco nel 2016, tanto più con Leone, americano del nord e del sud. Magari proporrà di nuovo una sede neutra e simbolica come Cuba, o in Perù».
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