Mondo
In Sudan la crisi si aggrava: Il generale sudanese Burhan promette vendetta per gli attacchi dei ribelli a Port Sudan, ma le milizie lo anticipano e bombardano ancora la città
Tra attacchi e contrattacchi, torna ad aggravarsi il conflitto in Sudan. Il capo del Consiglio Sovrano e comandante dell’esercito sudanese, generale Abdel Fattah al-Burhan, ha promesso una “vendetta” per i continui attacchi con droni condotti dalle Forze di Supporto Rapido (RSF) su Port Sudan, in corso da quattro giorni.
“Procederemo verso il raggiungimento dei nostri obiettivi, che sono sconfiggere la milizia – ovvero le Forze di Supporto Rapido – e coloro che le sostengono e le assistono. Diciamo a tutti quelli che hanno attaccato il popolo sudanese che pagheranno un prezzo altissimo”, ha dichiarato Burhan.
Parole che, secondo diversi esperti di geopolitica, rappresentano un messaggio esplicito – e minaccioso – rivolto al Burkina Faso e agli Emirati Arabi Uniti, accusati da Khartoum di sostenere i ribelli delle RSF nel conflitto contro l’esercito regolare.
In Sudan la crisi si aggrava: Il generale sudanese Burhan promette vendetta per gli attacchi dei ribelli a Port Sudan, ma le milizie lo anticipano e bombardano ancora la città
A queste dichiarazioni di fuoco ha fatto seguito la reazione immediata delle Forze di Supporto Rapido che, anticipando le mosse del generale Burhan, hanno ulteriormente alzato il tiro, causando la morte di almeno sei persone e il ferimento di altre venti in un massiccio attacco con droni contro il campo profughi di Abushouk, a El Fasher, capitale del Darfur settentrionale.
Un’azione a cui, promette Burhan, farà seguito una durissima risposta da parte dell’esercito sudanese.
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Mondo
Putin apre a un cessate il fuoco dopo il colloquio con Trump: “Ma servono compromessi”
Più di due ore di telefonata tra Vladimir Putin e Donald Trump. Una conversazione “significativa, franca e molto utile”, l’ha definita il presidente russo. Che ora parla di “compromessi” da trovare e dice che adesso i colloqui con l’Ucraina sono “sulla buona strada”.
Dopo il colloquio, Putin ha spiegato che ora la Russia e l’Ucraina devono “dimostrare la massima volontà di arrivare alla pace e trovare quei compromessi che vadano bene a entrambe le parti”. I colloqui, come detto, sono sulla buona strada dopo l’avvio dei negoziati a Istanbul: la ripresa dei contatti, per Putin, “dà motivo di credere che siamo sulla strada giusta”.
Colloquio tra Putin e Trump, timide aperture dal presidente russo sulla guerra in Ucraina
Putin ha spiegato che Trump “ha espresso la sua posizione sulla cessazione delle ostilità, un cessate il fuoco. E da parte sua, ha anche osservato che anche la Russia sostiene una soluzione pacifica della crisi ucraina. Dobbiamo semplicemente individuare i percorsi più efficaci per raggiungere la pace”.
Mosca si dice anche pronta a collaborare con Kiev su un memorandum per un futuro trattato di pace, un testo che potrebbe includere un cessate il fuoco e i principi necessari per la risoluzione del conflitto. Tra i temi che potrebbero farne parte anche le tempistiche per un possibile accordo di pace e “un possibile cessate il fuoco per un certo periodo di tempo se verranno raggiunti gli accordi pertinenti”.
Putin ha ringraziato Trump per il sostegno degli Usa alla ripresa dei negoziati diretti e ha ribadito che per la Russia “la cosa più importante è eliminare le cause di fondo” del conflitto ucraino. Il Cremlino ha parlato della volontà di Trump di cercare una soluzione e ha sostenuto che la posizione del presidente Usa è “neutrale”.
Intanto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, dopo aver parlato anche lui con Trump, ha rilanciato l’invito a Putin per aprire negoziati diretti tra i due: “L’Ucraina insiste sulla necessità di un cessate il fuoco completo e incondizionato”, ha affermato Zelensky, che punta a una tregua di 30 giorni.
Trump soddisfatto della telefonata: subito le trattative
Anche Trump ha commentato il colloquio telefonico, spiegando che “la Russia e l’Ucraina inizieranno immediatamente le trattative verso un cessate il fuoco e, ancora più importante, per la fine della guerra”. Per il presidente Usa la telefonata è andata molto bene. Trump ha poi fatto sapere che i negoziati potrebbero essere ospitati dal Vaticano, che “sarebbe molto interessato” a farlo.
Poi il presidente Usa ha parlato anche di rapporti commerciali: “La Russia vuole commerciare in maniera importante con gli Stati Uniti una volta che sarà concluso questo bagno di sangue, e io sono d’accordo: si tratta di una opportunità importante per creare posti di lavoro e benessere in Russia, con un potenziale illimitato. Anche l’Ucraina potrà trarre grande beneficio dal commercio, durante la ricostruzione del Paese”.
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Mondo
Da Israele arriva il via libera al ritorno degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Ma Bibi non ha pietà e prepara l’assalto finale ad Hamas
Dopo un martellante pressing internazionale su Israele, Benjamin Netanyahu si è rassegnato e ha dato il via libera alla ripresa delle consegne di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza.
Peccato che non ci sia stato neanche il tempo per esultare: poche ore dopo l’annuncio sono arrivate dichiarazioni di fuoco da parte del governo israeliano — che lasciano presagire come il peggio debba ancora arrivare — e si è verificato anche un “incidente” con l’aviazione israeliana che, secondo quanto riportato dall’Ong britannica Medical Aid for Palestinians, avrebbe colpito e “ridotto in cenere” dei magazzini contenenti medicinali destinati all’enclave palestinese.
Da Israele arriva il via libera al ritorno degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Ma Bibi non ha pietà e prepara l’assalto finale ad Hamas
Il primo ministro israeliano, annunciando la ripresa delle forniture umanitarie, ha dichiarato: “Per completare la vittoria, sconfiggere Hamas e liberare i nostri ostaggi, non dobbiamo raggiungere uno stato di fame nella Striscia di Gaza: sia dal punto di vista pratico che politico, altrimenti i Paesi alleati non ci sosterranno”.
Del resto, senza cibo e medicinali “ci stiamo rapidamente avvicinando alla linea rossa”, ossia la carestia, che potrebbe portare a “una situazione in cui potremmo perdere il controllo, e allora tutto crollerebbe”.
Ma che quella di Bibi non sia un’apertura alla pace lo ha chiarito lui stesso, affermando che, con l’operazione “Carri di Gedeone”, di fatto già iniziata da qualche giorno, “prenderemo il controllo di tutto il territorio della Striscia di Gaza” e così “sconfiggeremo definitivamente Hamas e recupereremo i nostri ostaggi”.
Parole a cui ha fatto eco il ministro delle Finanze israeliano e leader dell’estrema destra Bezalel Smotrich, secondo cui l’offensiva segue un “approccio completamente diverso da qualsiasi cosa vista in passato. Niente più incursioni o operazioni lampo: ora conquistiamo, purifichiamo e restiamo. Finché Hamas non sarà distrutta”.
Negoziati in stallo
Davanti a queste affermazioni, sembra ormai tramontata la speranza di negoziati di pace che possano porre fine a questa brutale guerra. Il leader di Hamas, Sami Abu Zuhri, citato dal quotidiano Al-Quds, ha smentito le indiscrezioni dei giorni scorsi secondo cui il movimento palestinese avrebbe accettato il rilascio di dieci ostaggi in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi e di una tregua di due mesi.
“Israele sta cercando di confondere il quadro con notizie false, al fine di fare pressione sulla resistenza”, ha dichiarato Abu Zuhri, sostenendo che se l’accordo non c’è stato è perché Netanyahu non lo vuole.
Il capo di Hamas ha però ribadito “la disponibilità del movimento a rilasciare tutti gli ostaggi, a condizione che l’occupazione finisca e Israele si impegni in un cessate il fuoco internazionale”. Una proposta su cui, come già accaduto in passato, Netanyahu non ha neanche commentato.
Ma a parlare sono i fatti, che mostrano una nuova escalation nella regione mediorientale. Il gabinetto di sicurezza israeliano ha infatti approvato il piano del ministro della Difesa, Israel Katz, per la costruzione di una barriera di sicurezza ad alta tecnologia lungo il confine con la Giordania, e per rafforzare la presenza israeliana nella Valle del Giordano.
Ma non è tutto. Nelle ultime 24 ore l’esercito israeliano (IDF) ha colpito duramente Gaza City, causando almeno 23 morti, e sta letteralmente martellando la città di Khan Younis, nel sud della Striscia. Proprio in quest’ultima città la situazione sta peggiorando di ora in ora: l’IDF ha annunciato una maxi operazione imminente, per la quale ha ordinato ai civili di evacuare al più presto Khan Younis, altrimenti non potrà garantirne l’incolumità.
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Europa
Viktor Orbán: la deriva autoritaria dell’Ungheria e la minaccia all’unità europea
Sotto la crescente pressione per mantenere il potere, il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán rispecchia sempre più le tattiche di Vladimir Putin: consolidamento del controllo attraverso la propaganda, indebolimento delle istituzioni democratiche e creazione di nemici sia interni che esterni.
Di fronte a un calo di consensi – i sondaggi recenti mostrano il partito d’opposizione “TISZA” in vantaggio rispetto al suo partito Fidesz – Orbán ha avviato una stretta contro il dissenso. I partiti d’opposizione vengono dipinti come minacce alla sicurezza nazionale, mentre la società civile è sottoposta a pressioni crescenti. Una nuova legge, la “Legge sulla Trasparenza della Vita Pubblica”, prende di mira le ONG – in particolare quelle con finanziamenti esteri – con l’obiettivo di mettere a tacere le voci indipendenti sotto il pretesto dell’interesse nazionale.
Il recente arresto di due ungheresi etnici in Ucraina con l’accusa di spionaggio è stato immediatamente strumentalizzato dalla macchina propagandistica di Orbán. Senza prove chiare, ha usato l’incidente per alimentare il sentimento nazionalista e mobilitare la sua base, dipingendo l’Ungheria come una nazione assediata.
Allo stesso tempo, la posizione geopolitica di Orbán diventa sempre più preoccupante. La sua retorica irredentista di lunga data nei confronti della regione ucraina della Transcarpazia, insieme alle richieste di diritti speciali per la minoranza ungherese, mina la sovranità ucraina. Le notizie sull’attività dell’intelligence ungherese nella regione rafforzano ulteriormente i timori di destabilizzazione.
La sua aperta sfida all’Unione Europea – bloccando decisioni chiave, indebolendo le sanzioni contro la Russia e abbracciando la narrazione del Cremlino – ha trasformato l’Ungheria in un “cavallo di Troia” all’interno dell’Unione. Nonostante tragga vantaggio dai fondi europei, il suo regime erode attivamente i valori dell’UE, lo stato di diritto e la coesione regionale.
Il suo obiettivo è chiaro: trasformare l’Ungheria in una “democrazia controllata” simile a quella della Russia di Putin, ma all’interno del quadro istituzionale dell’Unione. Se Bruxelles continua a esitare, rischia di legittimare un’autocrazia nel cuore dell’Europa. Le azioni di Orbán richiedono una risposta ferma e coordinata – a partire dalle misure previste dall’articolo 7 – per difendere i principi europei e prevenire ulteriori sabotaggi interni.
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