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Guerra Ucraina

Putin vendica il blitz ucraino in Russia con la strage del supermercato nel Donbass: ma è resa dei conti al Cremlino

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Lo schiaffo, per Vladimir Putin, è di quelli che lasciano il segno. Vedere migliaia di soldati ucraini fare il loro ingresso nella regione di Kursk è stato un colpo duro. Pesante da respingere ma anche da digerire. Tre giorni di intensi combattimenti, con le forze di Kiev che sono penetrate dieci chilometri oltre il confine. Assistere alle truppe nemiche che occupano a Sudzha la stazione di transito del gasdotto che unisce Russia ed Europa. Ammettere anche ieri che “la situazione nella regione rimane difficile”, come ha spiegato il governatore Alexey Smirnov. Essere costretti a mandare rinforzi, come ha confermato il ministero della Difesa russo.

La resa dei conti interna al Cremlino

“Le colonne che marciano verso le aree di missione includono sistemi missilistici a lancio multiplo BM-21 Grad, pezzi di artiglieria trainati, carri armati trasportati su reti da traino, veicoli cingolati pesanti, veicoli Ural e KamAZ”, ha dichiarato il dipartimento. E infine, dovere anche dichiarare l’emergenza nella regione di Kursk “a livello federale”. Annuncio arrivato ieri dopo quattro giorni di pesanti combattimenti. Tutto questo, per Putin, è difficile da metabolizzare. In 24 ore, il capo del Cremlino si è ritrovato catapultato nella gestione del più grave attacco ucraino nel territorio russo dall’inizio della guerra scatenata nel febbraio del 2022. E la tensione, a Mosca, è sempre più evidente. Gli effetti dell’attacco di Kiev sono duri sia a livello psicologico che politico. E anche se dalla Russia tendono a minimizzare le conseguenze strategiche, è altrettanto evidente che nei prossimi giorni, forse anche solo nelle prossime ore, per Putin inizierà il momento della resa dei conti interna. Ieri, il ministero della Difesa ha dichiarato di avere respinto i tentativi delle truppe ucraine di sfondare nei distretti di Sudzha e Korenevo.

Ma tutto questo non cancella un’onta che per lo zar è sempre più evidente. E che è stata peraltro aggravata ieri da un altro pesante attacco ucraino sempre nel cuore della Russia. Nel sud-ovest del Paese, le autorità locali hanno dovuto dichiarare lo stato d’emergenza dopo il fitto lancio di droni che ha coinvolto tutta la regione di Lipetsk. I velivoli di Kiev hanno colpito in particolare l’aeroporto militare della città, a 280 chilometri dal confine tra i due Paesi, con i villaggi limitrofi che sono stati evacuati per il rischio di finire sotto i bombardamenti nemici. I raid aerei hanno interessato anche le ragioni di Kursk, di Bryanks, di Belgorod e di Voronezh. E secondo i russi, sono stati intercettati almeno 75 droni. Mosca ha provato a reagire per dare una scossa soprattutto al fronte del Donbass. L’esercito russo ha detto di avere preso possesso del villaggio di Sergeevka nella regione di Donetsk e di aver “liberato” un altro centro abitato, quello di Ivanovka. “Ora ci stiamo muovendo verso Grodovka lungo la ferrovia verso Selidovo”, ha detto Igor Kimakovsky consigliere del leader dell’autoproclamata repubblica di Donetsk.

La vendetta russa: missile su supermercato, strage civili

A Kostyantynivka, sempre nella regione di Donetsk, un missile russo ha centrato un supermercato uccidendo 14 civili. Un raid che per alcuni osservatori è il modo per Mosca di incutere di nuovo paura alla popolazione e al governo ucraini, reagendo così all’assalto nel proprio Paese. Tuttavia, per Putin si trattano di manovre che non possono nascondere quanto sta accadendo nel cuore della sua “fortezza”. Kiev, in poco meno di due giorni, ha colpito duramente le forze russe mettendo a nudo una fragilità che il Cremlino ha sempre cercato di nascondere. Anche quando i raid ucraini colpivano centrali elettriche, raffinerie o altri centri russi. E il cambiamento di strategia da parte di Volodymyr Zelensky potrebbe essere l’indizio di qualcosa di più di una semplice modifica tattica. Kiev, infatti, sembra volere colpire in modo più pesante la Russia, evitando di giocare una “partita” solamente di resistenza. L’incursione a Kursk e il lancio di decine di droni è certamente un segnale importante.

Ma ad avere allarmato il Cremlino è anche quanto accaduto in Africa, in quel Sahel che da tempo è il cuore pulsante dell’impero extra-europeo di Mosca. Dopo l’attacco di fine luglio in cui i ribelli tuareg hanno fatto una strage di truppe del Mali e di paramilitari della ex Wagner, il Washington Post ha rivelato che i miliziani del Quadro strategico per la difesa del popolo di Azawad avrebbero ricevuto supporto e addestramento da Kiev tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. Il Mali ha tagliato i rapporti diplomatici con l’Ucraina. Ma è la Russia il vero obiettivo di questa campagna africana di Kiev. Come già accaduto in Sudan, le forze speciali ucraine e l’intelligence sono riuscite ad assestare colpi molto pesanti alle forze russe in quelli che sono da anni dei veri e propri territori di caccia per Putin e per i suoi mercenari. E per lo zar, si tratta di un doppio schiaffo di cui il primo a dover dare risposte sarà il ministro Andrei Belousov, appena arrivato e già costretto a spiegare due grossi fallimenti.

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Guerra Ucraina

Kiev vuole usare armi occidentali contro Mosca. In arrivo il via libera di Washington e di Londra

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Il segretario di Stato Usa Blinken e il suo omologo britannico, Lammy, volano da Zelensky per discutere le strategie militari

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Caccia Gripen per l’Ucraina: cosa c’è dietro l’ipotesi della Svezia

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La Svezia potrebbe decidere di inviare alcuni suoi caccia “Gripen” più vecchi in Ucraina, ma sarebbe meglio concentrarsi sugli F-16

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Ucraina, soldati in fuga dal fronte: le nuove reclute abbandonano la guerra, già 19mila ritiri

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Trincee, città trasformate in cumuli di macerie, bombe che piovono ogni giorno sul paese mietendo vittime, distruggendo infrastrutture con l’unico scopo di fiaccare il morale di un’Ucraina che da due anni e mezzo fronteggia l’invasione russa. Volodymyr Zelensky lo sa. È consapevole che la popolazione non può resistere a lungo. La guerra alle infrastrutture energetiche scatenata da Vladimir Putin mette in serio pericolo gli abitanti in vista dell’autunno e soprattutto dell’inverno. E l’avanzata delle forze di Mosca a Est – per quanto rallentata negli ultimi giorni – non è destinata a placarsi almeno fino all’arrivo a Pokrovsk, snodo cruciale di questa fase della campagna militare. E ieri la Difesa di Mosca ha annunciato la conquista di un altro villaggio: Memrik.

L’operazione Kursk non basta

L’operazione nel Kursk ha di certo dato una scossa importante. Sia alla narrativa di Putin, che è costretto a osservare l’invasione del proprio territorio, migliaia di connazionali sfollati, soldati catturati e interi centri abitati in mano alle forze ucraine. Sia (teoricamente) al morale della popolazione e delle truppe che, dopo mesi di resistenza, hanno visto una prima operazione offensiva su larga scala. Il problema però è che l’incursione nell’oblast russo, se ha ottenuto diversi risultati tattici, non ha raggiunto quello che per molti era uno degli obiettivi prioritari: alleggerire la pressione russa sul Donbass. Un problema per Kiev, che si vede soprattutto sul fronte di Pokrovsk, dove l’assedio è sempre più prossimo.

Fuga dal fronte: 19mila procedimenti per diserzione

Secondo quanto riportato dalla Cnn, che ha sentito alcuni comandanti ucraini che hanno servito nella regione, il morale delle truppe in prima linea inizia a risentirne. “Le diserzioni e le insubordinazioni stanno diventando un problema diffuso, specie tra le nuove leve – hanno detto le fonti – Non tutti i soldati mobilitati lasciano le loro posizioni, ma la maggioranza lo fa. Quando i nuovi soldati arrivano, vedono quando sia difficile la situazione. Si trovano alle prese con i numerosi droni, pezzi d’artiglieria e mortai nemici”. Una condizione drammatica, che coinvolge in particolare le nuove reclute. Una differenza sostanziale rispetto ai volontari dei primi mesi di guerra e alle truppe di carriera e che preoccupa soprattutto per un numero: quello dei 19mila procedimenti per diserzione e abbandono delle posizioni soltanto nel 2024. Ed è per questo che Zelensky sta facendo di tutto per ridare linfa vitale alle sue truppe, frustrate e in attesa che aumentino gli aiuti promessi dagli alleati.

Dalla base di Ramstein a Cernobbio, il presidente ucraino ha ribadito la necessità di armi, di sistemi per la difesa aerea, di caccia e soprattutto di cambiamenti nella politica occidentale sulle armi inviate a Kiev. Vuole che alle sue forze sia data la possibilità di attaccare in profondità il nemico, in modo da fare arrivare la guerra anche in Russia e colpire le basi avversarie come fatto nel Kursk. Gli Stati Uniti hanno già fatto capire di non essere d’accordo con il governo ucraino. Ma i missili arrivati dall’Iran alla Federazione russa (consegne che Teheran nega, ma ritenute “credibili” anche dall’Unione europea) confermano che il Cremlino ha più assi nella manica.

Tra pace, resa e sostegno a Kiev

L’Ucraina, per frenare il sangue che scorre in molte città del paese sotto le bombe russe, ha chiesto missili per la contraerea a tutti gli alleati. Ma il tempo non è dalla parte di Kiev. E comincia a essere evidente che all’interno della Nato si cerca di capire quale sia per il percorso per arrivare il più presto possibile a una pace. Scenario che però il governo ucraino vuole valutare attentamente, prima che si riveli di fatto una resa. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto che è giusto appoggiare il piano di pace di Zelensky, ma che allo stesso tempo è anche giunto il momento di coinvolgere Mosca in una conferenza di pace. L’opposizione della Cdu è insorta, ma le crepe interne sul sostegno militare all’Ucraina si sono manifestate in modo eclatante nelle ultime tornate elettorale. Specialmente con l’ascesa di Alternative für Deutschland e del movimento di Sahra Wagenknecht. Il Cremlino si è mostrato cauto, senza chiudere del tutto la porta a questa ipotesi di negoziato (pur dicendo che ora non ci sono le basi per colloqui di pace). Ma mentre Zelensky chiede armi e libertà di utilizzarle, l’Occidente vuole capire fino a che punto riuscirà a spingersi nel sostegno a Kiev. “Finché sarà necessario”, ripetono i leader europei e Usa. Ma al fronte la situazione si fa sempre più complessa.

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