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Guerra Ucraina

La pace impossibile tra Russia e Ucraina: l’allarme di Prigozhin, l’inner circle che ‘guida’ Putin e il fronte di Zelensky prossimo a capitolare

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Gli ucraini stanno ricostruendo in fretta e furia le fabbriche di munizioni perché non c’è tempo da perdere prima di sapere se alla Casa Bianca andrà l’amico Biden o il nemico Trump; o quando l’Europa (che ha i magazzini vuoti) sarà davvero pronta a far seguire i fatti alle parole. Ieri il comandante generale ucraino Zaluzhny ha dichiarato pubblicamente lo stato delle cose: il fronte che si oppone agli invasori può crollare non appena i generali russi avranno scelto dove scatenare l’offensiva finale. Il segretario generale della Nato Stoltenberg chiede aiuti in armi e denaro e il ministro degli Esteri italiano Tajani ha promesso di affrontare immediatamente la questione nel Consiglio Atlantico, visto che con la distruzione della Dtek, l’azienda elettrica nazionale, l’Ucraina ha perso l’ottanta per cento dell’energia.

Volodomir Zelensky – che Vladimir Putin considera un ebreo nazista – ha abbassato di due anni l’età per morire in trincea: bastano 25 anni e non più 27. Nel frattempo, lavora alacremente una nuova classe di tecnici e ingegneri specialisti in artiglieria elettronica capaci di modernizzare i vecchi cannoni sovietici adeguandoli agli standard della Nato, ma manca il tempo, mancano gli uomini e mancano i fondi. Il morale seguita a reggere e lo sforzo per un riarmo autarchico è angoscioso, praticamente disperato. Intorno a Putin, nel suo “inner circle” c’è un gruppo di affaristi nazionalisti che esercita una forte pressione sul presidente russo. Si tratta di quel gruppo che fu pubblicamente denunciato da Evgenij Prigozhin, il capo della divisione mercenaria Wagner poi assassinato con una bomba nell’aereo, all’inizio della sua sfrontata e sfortunata ribellione: “Vladimir Vladimirovic, gridò davanti a tutto il mondo – tu sai che questa guerra in cui soltanto io ho vinto la battaglia di Bakhmut , è una guerra criminale e sbagliata che il circolo dei tuoi protettori ti ha imposto per spartirsi il bottino. Ma adesso verrò io salvarti e ad aprirti gli occhi”.

Furono invece gli occhi di Prigozhin a chiudersi per sempre, ma la sua denuncia pubblica costituì uno dei rari momenti di verità nella guerra contro l’Ucraina cominciata nel 2014 con l’invasione della Crimea degli “strani omini verdi” (soldati russi senza mostrine e non identificabili) che entrarono armati in Donbass e nelle due cosiddette Repubbliche Popolari autogestite. Quella guerra cominciò con l’introduzione di batterie di cannoni consegnate ai gruppi russofoni cui seguirono sanguinosi duelli d’artiglieria con l’esercito regolare di Kyiv che causarono, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, ottomila morti, metà russofoni e metà ucraini. Ma non ci fu alcuna insurrezione popolare a favore dei russi, come a Putin avevano assicurato. Ma quegli scontri provocati dall’esercito russo e il numero dei caduti equamente distribuito permisero alla propaganda russa di creare la leggenda della minoranza russa perseguitata dai “nazisti di Kiev” che chiedeva aiuto ai fratelli della Federazione Russa per essere “liberati”.

La rivolta anti-russa scoppiò, in modo del tutto pacifico ma per molti mesi e con tutti i giovani nella piazza Maidan di Kyiv, quando il presidente fantoccio Janukovic capovolse la decisione del Parlamento eletto di chiedere formalmente l’adesione all’Unione Europea, annunciando allo stesso Parlamento di aver cambiato idea e aver chiesto l’ingresso dell’Ucraina nella comunità economica guidata dalla Russia per rimettere insieme i pezzi della vecchia Unione Sovietica, dissolta nel 1991. Viktor Janukovic tentò di reprimere la rivoluzione pacifica facendo uccidere un centinaio di manifestanti con le spranghe fi ferro usate dalla polizia e dai tiratori appostati sui tetti: quelli che il circolo del Cremlino si affrettò a definire “agenti della Cia”. Furono girate centinaia di ore di video e pellicola durante i due mesi della insurrezione scandita solo da slogan, canti, marce notturne con fiaccole, concerti di pianoforti bianchi sui cumuli di neve alle cui tastiere si sono alternate decini di artisti europei, americani, australiani e persino russi rifugiati in Ucraina.

Quelle centinaia di ore di video sono state poi pubblicate per anni da Netflix e da altre piattaforme, e tutti hanno potuto vedere qualcosa di terribile o inaspettato: i cadaveri insanguinati dei giovani uccisi erano coperti dalle bandiere dell’Unione Europea con il circolo delle stelle dorate in campo blu che siamo abituati a vedere soltanto in luoghi o situazioni ufficiali. Nessuno di noi europei occidentali è in grado di immaginare una generazione di liceali e giovani lavoratori che sfida la morte indossando la bandiera dell’Europa ma in Ucraina è successo, perché gli ucraini nati all’inizio degli anni novanta e alla fine degli Ottanta, non sapeva nulla dell’Urss e non aveva, come non ha, alcun sentimento positivo nei confronti della Russia, ma soltanto paura. Janukovic è stato filmato mentre di notte fuggiva su un elicottero russo che lo riportava da Putin il quale stabilì, e impose che si dicesse, che in Ucraina un colpo di Stato attuato da misteriosi nazisti, che poi identificò nei difensori di Mariupol, la città delle acciaierie, che furono fatti prigionieri e poi subito rispediti in Ucraina in cambio di qualche pezzo grosso russo. Quindi oggi non c’è trattativa, non ci sono offerte sul tavolo e la guerra continua perché l’aggressore si dice pronto a trattare soltanto nel caso che venga ratificata la sua ingiusta vittoria e il diritto di predare un terzo dell’Ucraina, mettendone il resto sotto tutela e sorveglianza.

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Guerra Ucraina

Giallo sui super-missili Usa a Kiev. Ma Trump colpisce l’energia russa

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Dopo quasi quattro anni di conflitto, parole, indiscrezioni e mesi di trattative a vuoto, emerge quello che tutti già sapevano: la Russia di Putin non ha nessuna intenzione di fare la pace. A meno che non abbia in regalo l’intera o quasi Ucraina solo parzialmente invasa. E anzi, continua a fare ciò che vuole, colpendo per l’ennesima volta obiettivi civili, addirittura un asilo mentre lancia una nuova esercitazione nucleare. Quando al contrario Zelensky apre al compromesso per chiudere il conflitto e Trump diventa oggetto di scherno in Russia. E la pazienza del presidente americano potrebbe essere al limite. Il segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent, ha annunciato nuove sanzioni alla Russia, le più dure mai imposte fin qui, contro i giganti energetici russi Rosneft e Lukoil. «Sono state causate dal rifiuto di Vladimir Putin di mettere fine a una guerra senza senso», si legge nella nota dell’amministrazione americana. Il Wall Street Journal ha anche riferito che Washington avrebbe consentito a Kiev di usare missili a lungo raggio, come accaduto martedì con un missile da crociera Storm Shadow fornito dalla Gran Bretagna per colpire un impianto russo a Bryansk. Trump si è affrettato a smentire, definendola una «falsa notizia» e alla Casa Bianca con il segretario della Nato Mark Rutte ha spiegato che vedrà Putin in futuro, «ora non è il momento».

Altro che diplomazia. Per l’Ucraina è stata un’altra notte di fuoco. «Almeno sei persone, tra cui due bambini, sono morte e altre 17 sono rimaste ferite negli attacchi delle forze russe contro diverse regioni ucraine», ha confermato Zelensky. Un attacco, in particolare con droni kamikaze, che è proseguito anche ieri mattina quando a Kharkiv è stato colpito un asilo. Un uomo di 40 anni è morto e per puro miracolo non si registrano vittime tra i bambini. Le immagini dell’evacuazione dei piccoli dalla struttura hanno fatto il giro del mondo. Alcuni bambini sono rimasti feriti, molti sono sotto choc. «La Russia sta diventando sempre più sfacciata. Banditi e terroristi possono essere messi al loro posto solo con la forza», lo sfogo di Zelensky. Che ieri è stato in Norvegia e in Svezia, dopo ha stipulato un accordo per acquistare 150 caccia bombardieri Gripen ma non abbandona la via della diplomazia portata avanti da Donald Trump, aprendo a un compromesso potenzialmente decisivo. «L’appello del presidente americano di congelare le attuali linee del fronte è un buon compromesso», ha confermato Zelensky. «Restiamo dove siamo e iniziamo il dialogo, ma non sono sicuro che Putin lo sosterrà, e l’ho detto al presidente», ha aggiunto. E infatti il Cremlino viaggia su un altro registro. Mentre «un’esercitazione delle forze nucleari strategiche» è stata approntata ieri («era programmata da tempo», assicura Putin), nonostante le forze russe sul campo siano ferme alle posizioni di due anni fa, Peskov, Lavrov & company insistono nel dire che la posizione russa non cambia, ferma alle pretese già manifestate.

La variabile in grado di cambiare le carte in tavola resta Trump. Fino a quando dureranno la pazienza e l’apertura di credito a Putin? Il vertice di Budapest è sempre più lontano. E i segnali da Mosca non sono buoni. Tanto che Trump nei più importanti talk show di Stato russi è stato ripetutamente sbeffeggiato e accusato di essere un «fesso». Non esattamente un buon auspicio ed ennesima conferma su chi davvero non vuole fermare il conflitto.

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Drone russo su asilo a Kharkiv in pieno giorno. Zelensky atteso al Consiglio europeo: “Congelare la linea del fronte”

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La Russia non si sbilancia. Dopo che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha fatto capire che in questo momento non sarebbe utile un incontro con il suo omologo russo Vladimir Putin, da Mosca sono arrivate dichiarazioni più caute. Il viceministro degli Esteri, Sergey Ryabkov, ha detto che non sussistono “ostacoli significativi” al faccia a faccia tra i due leader previsto a Budapest e che “i preparativi per il vertice stanno continuando”. “Era un desiderio comune”, ha dichiarato il portavoce presidenziale Dmitry Peskov. Anche dall’Ungheria sono arrivati segnali più ottimistici, con il ministro degli Esteri e del Commercio Peter Szijjarto che ha detto che i preparativi proseguono nonostante le voci contrarie. Ma intanto, la situazione sul campo appare chiara e non certo a favore di una soluzione pacifica del conflitto.

La Russia ha continuato anche ieri a bombardare diverse regioni dell’Ucraina. Nella regione di Kyiv sono state registrate sei vittime, tra cui, a Brovary, un neonato di sei mesi, una bambina di 12 anni e una donna. Altri bambini sono stati feriti a Zaporizhzhya. A Kharkiv è stato colpito un asilo, e l’attacco ha provocato la morte di una persona e il ferimento di altre sette. Mentre diverse zone del Paese hanno subito gravi blackout a causa dei danni alle infrastrutture energetiche, da sempre obiettivi prediletti di Mosca. Una giornata drammatica, l’ennesima, che conferma come il lavoro della diplomazia non frena le azioni di Putin. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, impegnato nel gestire questa complessa fase tra resistenza e possibili negoziati, ieri ha di nuovo avvertito l’Occidente. “Le parole russe sulla diplomazia non significano nulla fin quando la leader russa non avvertirà problemi seri. E questo può avvenire solo con le sanzioni, capacità a lungo raggio e diplomazia coordinata tra tutti i nostri partner”, ha detto il capo dello Stato. “È tempo che l’Ue adotti un pacchetto di sanzioni più dure. Contiamo anche su sanzioni dure da parte di Usa e G7, di tutti coloro che vogliono la pace” ha continuato Zelensky, “è molto importante che ora il mondo non resti in silenzio e che ci sia una risposta unita ai vili attacchi della Russia”.

Oggi Zelensky è atteso al Consiglio europeo

Ma la risposta richiesta dal presidente ucraino si fonda su interessi che appaiono divergenti sia in seno all’Unione europea che tra le due sponde dell’Atlantico. Oggi Zelensky è atteso al Consiglio europeo dove sarà ribadito il “sostegno incrollabile” all’Ucraina. Parola del presidente Antonio Costa. Ieri il leader ucraino è stato a Oslo e a Stoccolma, dove ha ricevuto di nuovo conferme del sostegno scandinavo al Paese invaso. In Svezia, Zelensky ha firmato con il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, una lettera di intenti per una forte cooperazione nel settore della difesa e per consegnare a Kyiv tra i 100 e i 150 caccia Gripen prodotti dalla Saab. E dalla Scandinavia, il presidente ucraino ha lanciato anche un nuovo assist a Trump, dicendo che il congelamento del fronte, come proposto dal tycoon, è “un buon compromesso”.

Zelensky ha detto che Trump ha chiesto di “restare dove restiamo e iniziare il dialogo”. “Penso che sia un buon compromesso, ma non sono sicuro che Putin lo sosterrà, e l’ho detto al presidente” ha confermato Zelensky. Ma in conferenza stampa con Kristersson, il presidente ucraino ha ribadito i suoi punti fermi. “Siamo disposti a seguire i canali diplomatici; sosteniamo il cessate il fuoco. Siamo disposti a impegnarci nella diplomazia, ma non ad abbandonare determinate aree e consegnarle al nostro aggressore”, ha detto il leader di Kyiv. Ma tutto dipende anche da come Putin si muoverà nei prossimi giorni.

I raid sulle città ucraine di certo non sono di buon auspicio né sono segnali che inducono a credere nella sua propensione al dialogo. Ma ieri, lo “zar” ha anche lanciato un primo indizio sul fatto di non volere aumentare la tensione con gli Stati Uniti. Dopo avere presenziato alle esercitazioni della triade delle forze nucleari strategiche russe (in cui “sono stati lanciati missili balistici intercontinentali e missili da crociera da aerei”, come ha spiegato il ministero della Difesa). Putin ha tenuto a ribadire in videoconferenza che quelle manovre erano “previste”. Quasi a dire che non era un messaggio bellicoso rivolto a Washington.

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Trump e Putin a Budapest, Petrov: “Lo zar parla solo con Donald, ma vuole molto di più del solo Donbass”

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«Una tregua temporanea potrebbe essere possibile, ma, senza accordi precisi, non si potrà parlare di una pace duratura». Il politologo e analista russo Nikolay Petrov, capo del Centro per la ricerca politico-geografica di Berlino e Senior Fellow presso Chatham House, tratteggia le prospettive future relative al conflitto in Ucraina, da una parte tirando le somme del bilaterale fra Trump e Zelensky tenutosi venerdì scorso alla Casa Bianca, dall’altra misurando le aspettative del prossimo faccia a faccia in programma a Budapest tra il leader americano e Vladimir Putin.

Professor Petrov, qual è la sua opinione intorno al recente incontro fra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il leader statunitense Donald Trump? L’ha trovato produttivo?
«A giudicare dalle apparenze, il bilaterale tra Zelensky e Trump del 17 ottobre non ha prodotto alcun risultato, contrariamente alle aspettative di Kyiv. È avvenuto dopo la telefonata tra il tycoon e Putin del giorno prima. Allo stesso tempo, tuttavia, non è risultato nemmeno controproducente, a differenza della prima visita di Zelensky alla Casa Bianca a febbraio».

Dopo Anchorage, Trump sceglie Budapest come luogo del prossimo summit con Vladimir Putin. Per quale motivo, a suo avviso?
«Non credo che Trump sia pronto a volare in Russia, come esigerebbe una vera visita di ritorno. Sia lui che Putin hanno buoni rapporti con Viktor Orbán, e bisogna tenere in considerazione che l’Ungheria si sta ritirando dalla giurisdizione della Corte penale internazionale, che ha emesso un mandato di arresto per il leader del Cremlino. Inoltre, è stato a Budapest che i leader di Stati Uniti, Russia, Regno Unito e Ucraina hanno firmato il Memorandum del 1994 sulle garanzie di sicurezza in relazione all’adesione di Kyiv al Trattato di non proliferazione nucleare».

Durante la telefonata intercorsa giovedì scorso fra Trump e Putin, il leader del Cremlino ha posto, come condizione per la fine del conflitto, la cessione del Donbass. Trump minaccia Zelensky: “cedi il Donbass a Putin o distruggerà l’Ucraina”. Pensa che potrebbe essere accontentato?
«Da un lato, Putin vuole il Donbass; dall’altro, vuole molto di più del solo Donbass. Questa richiesta potrebbe non sembrare eccessiva, dato che le forze russe stanno già, passo dopo passo, conquistando il territorio controllato dall’Ucraina nell’oblast di Donetsk. Eppure ciò sarebbe assolutamente inaccettabile per Zelensky: equivarrebbe a una capitolazione, qualcosa che la società ucraina rifiuterebbe categoricamente. Tuttavia, il rifiuto programmato di Kyiv di accettare questa richiesta, nonostante le pressioni degli Stati Uniti, presenta Zelensky – piuttosto che Putin – come la parte intransigente agli occhi di Washington e contribuisce a prolungare i colloqui, il che è nell’interesse di Mosca».

Zelensky chiede di essere presente al summit di Budapest: “L’ho detto a Trump: sono pronto. Se vogliamo davvero una pace giusta e duratura, dobbiamo esserci entrambi”. Potrebbe verificarsi finalmente un incontro fra Putin e il presidente ucraino?
«Zelensky ha bisogno di un incontro con Putin per suggellare la dimostrazione della sua disponibilità ai negoziati, mentre per Trump rappresenterebbe la prova del successo dei suoi sforzi di pace. Il leader del Cremlino non necessita affatto di un summit del genere ed è disposto a discuterne solo per non irritare Washington. Un incontro del genere non presenterebbe tuttavia alcun contenuto concreto, perché le richieste di Putin sono rivolte principalmente all’Occidente – e soprattutto agli Stati Uniti – piuttosto che all’Ucraina. E mentre Mosca registra interessi sovrapposti e la possibilità di un accordo nei colloqui con gli Stati Uniti, non prevede nulla del genere con l’Ucraina. Putin non considera Kyiv – né, peraltro, l’Europa – come un attore indipendente con cui si possa negoziare direttamente qualcosa di significativo».

Volodymyr Zelensky sollecita “passi decisivi” da parte di Usa, Ue, G20 e G7. La sua richiesta sarà accolta?
«A parte il valore di pubbliche relazioni, appelli di questo tipo non hanno alcun significato reale. In una guerra di logoramento, il tempo gioca a favore della parte con il maggiore potenziale umano, economico e militare – in questo caso, la Russia. Credo che nessuno dei “passi decisivi” – così come li intende Zelensky – sia disponibile nell’arsenale degli alleati occidentali dell’Ucraina. Gli Usa hanno preso le distanze e le capacità della coalizione occidentale sono diminuite. In queste condizioni, una svolta potrebbe essere raggiunta solo con l’ingresso diretto della NATO in guerra con la Russia, il che è estremamente improbabile».

Ritiene che, dopo Gaza, l’approccio di Trump potrebbe garantire un cessate il fuoco anche in Ucraina?
«Un cessate il fuoco temporaneo – più probabilmente parziale (ad esempio, in aria e in mare, come proposto da Putin) piuttosto che completo – potrebbe in linea di principio essere possibile, ma senza accordi preventivi e più ampi sull’architettura di sicurezza europea o addirittura globale – un aspetto su cui Putin insiste – non può durare a lungo e verrebbe rapidamente violato da entrambe le parti. Inoltre, Trump non dispone di quelle leve di pressione su Putin che aveva, ad esempio, nel caso di Netanyahu».

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