Guerra Ucraina
Il caso Netanyahu e la dittatura di Gaza: quel doppiopesismo dei crimini contro l’umanità
La guerra resta la più orribile pulsione umana, ed è sempre sanzione dei fallimenti politici degli Stati. In nessun caso è lecito graduare l’importanza di chi, da innocente, lascia sul campo la vita. Ma se questo è vero, perché si continua con la giustizia selettiva e l’indignazione a geometria variabile? Perché il dolore dei popoli diventa così spesso il pretesto per una ben precisa narrazione ideologica, per cui le morti palestinesi e libanesi si pesano, mentre lo strazio dell’Ucraina non infiamma nessuna piazza, e la resistenza iraniana anima giusto qualche convegno, e così per il calvario dei siriani, dei libici, degli yemeniti, dei coreani del nord, degli eritrei, dei venezuelani?
Perché alla sbarra e nel mirino delle piazze occidentali c’è solo il leader democraticamente eletto di un paese che il 10 ottobre 2023 fu barbaramente aggredito, e non le élites del terrore che si mescolano alla loro gente per poter contare più morti civili, non gli zar che martirizzano un paese vicino per ragioni di potere, non gli ayatollah che perseguitano le donne, i gay e ogni opposizione al loro regime? Perché ormai persino l’Unione europea si accanisce contro un solo bersaglio, accusandolo addirittura di genocidio, e chiude gli occhi su chi le guerre le provoca e intanto stringe il proprio popolo nella morsa della dittatura?
I veri ostaggi della dittatura di Gaza
Sono i tanti perché appesi al nulla di una civiltà in declino perché non crede più in sé stessa, come ha scritto di recente Federico Rampini, come scriveva già tanti anni fa Oriana Fallaci. La lotta ai crimini contro l’umanità sembra diventata solo un’arma politica, una foglia di fico che non riesce a coprire l’asimmetria sia delle pronunce formali sia delle mobilitazioni pubbliche. La kefiah palestinese segue l’epopea delle lotte di liberazione sudamericane, e quindi qualsiasi tagliagole diventa un nuovo Che Guevara. In questo, l’abilità politica dei capi terroristi è stata da sempre quella di far coincidere sé stessi con valori alti e trasversali. La Palestina come luogo dell’anima, quello che non è il Kurdistan, quello che non è il Tibet. Intanto, dal 2006 la dittatura di Gaza tiene in ostaggio il suo stesso popolo, mentre da parte israeliana e occidentale si accumulavano errori e assenza di strategia fino agli esiti di questi tempi.
Il caso Netanyahu
La destra israeliana è stata totalmente al di sotto delle necessità di questa fase storica. Ma il caso Netanyahu resta emblematico, non tanto per ciò che affronta ma per ciò che lascia in sospeso. Una vera giustizia globale non può essere strabica, né una solidarietà autentica può fermarsi ai confini di ciò che in quel momento è popolare o politicamente conveniente. Una giustizia internazionale che va al traino dell’indignazione selettiva e delle piazze ideologiche non sarà mai equa. Sarà solo una forma deteriore di politica, mentre la politica che disegna il futuro sembra morta con Rabin, con Clinton, con Craxi e Khol, cioè con i leader che 30 anni fa avevano un’idea del mondo da costruire sulle macerie del Muro di Berlino.
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