Guerra Ucraina
Europee e i pacifisti a doppio taglio: Vannacci e Tarquinio agitano Lega e Pd, Raggi e Di Battista più ‘spericolati’ di Conte
Quanto vale il voto dei cosiddetti pacifisti? In che misura influiranno sul risultato delle elezioni europee le opinioni degli italiani che non vogliono più l’invio di armi all’Ucraina invasa dalla Russia di Vladimir Putin? Non sono soltanto i sondaggisti a porsi queste domande.
La corsa a compiacere quella parte di elettorato che sta virando sempre di più verso l’equidistanza con Mosca coinvolge quasi tutti i partiti. La Lega e il M5s, innanzitutto. Ma anche il Pd di Elly Schlein. Con una competizione a sinistra che si è fatta più serrata dopo l’annuncio della discesa in campo della lista pacifista di Michele Santoro. Il movimento del giornalista, secondo la rilevazione del 25 marzo di Swg per il TgLa7, all’esordio è quotato all’1,6%. Per molti osservatori si tratta di una performance ragguardevole. Una spia di ciò che si muove nell’opinione pubblica. Perciò le forze politiche fanno a gara a corteggiare personalità dall’impronta pacifista, di sicuro non strenui sostenitori della resistenza ucraina contro l’invasore. Una corsa che rischia di turbare gli equilibri interni alle coalizioni e agli stessi partiti. La cronaca impone di partire dalla dialettica dentro il Pd. Al Nazareno ieri si è riunita la segreteria nazionale. All’ordine del giorno c’erano le candidature per le prossime elezioni europee. Un quadro complesso da definire per la segretaria. Che deve fare i conti con il mantenimento di un fragile equilibrio tra le correnti. E anche in questo caso la divaricazione più evidente è proprio sulla politica estera. Segnatamente sulla guerra in Ucraina.
I ‘pacifisti’ dem per coprire l’emorragia a sinistra
I riformisti più vicini a Kiev corrono il rischio di essere penalizzati nella composizione delle liste, a beneficio di candidati in grado di attirare gli agognati voti pacifisti, nel tentativo di coprire l’emorragia a sinistra verso il M5s, Alleanza Verdi e Sinistra e il cartello elettorale di Santoro. Così, tra i possibili capolista, si fanno largo i nomi di Sandro Ruotolo, che dell’ex conduttore antiberlusconiano è stato collaboratore per molti anni e ora fa parte della segreteria nazionale dem. Poi c’è Cecilia Strada, figlia di Gino, fondatore di Emergency. Ed è scoppiato un caso sul nome di Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire. Infatti, se Strada, pur da una posizione pacifista, si è mantenuta su una linea più morbida del tipo «inviare armi non è l’unica opzione», il giornalista è decisamente contrario agli aiuti militari all’Ucraina. Per questo motivo non dovrebbe correre come capolista. In ogni caso, nel Pd, si confrontano due orientamenti opposti. Quello dei riformisti come l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, della deputata Lia Quartapelle o dell’europarlamentare uscente Pina Picierno, graniticamente al fianco di Kiev. E quello dei vari Ruotolo, Strada, Tarquinio, pronti a candidarsi alle europee di giugno.
La Lega divisa su Vannacci
Seppur con sfumature e proporzioni diverse, si registra una dinamica per certi versi simile all’interno della Lega. C’è il segretario Matteo Salvini, che ogni giorno alza l’asticella, fino alla contiguità con il Cremlino. Salvini non ha espresso dubbi sulla regolarità delle elezioni farsa in Russia. Il leader leghista ha bollato il presidente francese Emmanuel Macron come un “pericoloso guerrafondaio”, dopo che il numero uno dell’Eliseo aveva aperto alla possibilità di inviare truppe occidentali in Ucraina. Per questa ultima frase il vicepremier e ministro delle Infrastrutture si è beccato un controcanto netto da parte di Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia, espressione di un Carroccio più moderato e più lontano dalle intemperanze della destra radicale filo-Putin. “Macron non è un pericoloso guerrafondaio”, ha detto Fedriga lunedì in un’intervista a Il Messaggero Veneto e Il Piccolo. E se nel Pd impazza il caso Tarquinio, a Via Bellerio tiene banco il caso Vannacci. Che è Roberto, il generale autore del discusso bestseller Il Mondo al Contrario, accusato di omofobia e razzismo. Ma non solo: non mancano le ombre sul periodo trascorso da Vannacci a Mosca, dove è stato addetto militare dell’ambasciata italiana dal febbraio del 2021 a maggio del 2022.
C’è un’inchiesta per peculato e truffa, relativa a falsi rimborsi e indennità non dovute nel periodo in cui lavorava nella capitale russa. Ma quel che rileva politicamente sono le condanne troppo poco decise di Vannacci sull’invasione dell’Ucraina. Con tanto di elogi alla società russa contenuti nel suo libro, in cui scrive: “Mosca è sicura, donne e bambini possono girare nei parchi di sera senza nessun problema”. Senza contare le polemiche, a gennaio scorso, per la presentazione de Il Mondo al contrario a Verona, sponsorizzata da due ex leghisti filo-Putin come Stefano Valdegamberi e Vito Comencini. E infatti l’ipotesi di una candidatura di Vannacci alle europee è stata accolta con freddezza o avversata apertamente da diversi esponenti della Lega. Ma nonostante le critiche interne, il vicesegretario del Carroccio Andrea Crippa, vicinissimo a Salvini, solo pochi giorni fa ha difeso ancora il generale: “Vannacci è un profilo importante, può dare un contributo positivo alla Lega”.
5 Stelle e gli spericolati Di Battista e Raggi
Il pacifismo mette in crisi perfino il M5s. Giuseppe Conte è nettamente contrario all’invio di armi all’Ucraina e spara un giorno sì e l’altro pure contro gli Stati Uniti e la Nato. Eppure c’è chi ha posizioni più radicali delle sue. Prendiamo Virginia Raggi, l’ex sindaca di Roma che si candida a leader della fronda dei grillini ortodossi. Anche Raggi vuole interrompere le forniture belliche a Kiev e parla con accenti più estremistici rispetto a Conte. Come quando, in alcune chat del M5s, a marzo del 2022, inveiva contro l’Ucraina governata da politici “eterodiretti” e contro “l’ingerenza di Usa e Ue”, che avrebbero rovesciato il governo filo-russo di Viktor Yanukovich nel 2014. Raggi rilanciava la propaganda sui “nazisti” arruolati con Kiev.
Anche se non potrà candidarsi per via delle regole interne del M5s, l’ex sindaca spera di rientrare in gioco dopo le europee per la leadership dei grillini. Sta facendo asse con lei un ex pentastellato, spesso tacciato di filoputinismo. Parliamo di Alessandro Di Battista, uno che in politica estera ha posizioni fin troppo spericolate. Proprio come quelle dei candidati della lista di Santoro, tra cui spicca lo scrittore Nicolai Lilin, che dopo l’attentato di Mosca ha rilanciato un video fake in cui si attribuiva all’Ucraina la paternità del massacro. La competizione per il voto pacifista è serrata, anche a sinistra del Pd.
Guerra Ucraina
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Guerra Ucraina
Linea rossa cancellata
Le Forze armate ucraine sono riuscite a colpire quattro fra i maggiori aerodromi militari russi. Ora per Mosca sarà difficile mantenere gl’impegni presi con Teheran
Fronte Nord – All’inizio dell’estate l’Ucraina perse l’opportunità di distruggere un gran numero di cacciabombardieri russi Su-34 a causa delle restrizioni imposte dagli Stati Uniti sull’utilizzo degli Atacms. Dozzine di quei velivoli – schierati dal 47esimo reggimento dell’aviazione russa nella base area di Molshevo, a Voronezh – erano infatti perfettamente a tiro ma gli americani negarono a Kyiv l’autorizzazione a colpirli temendo che ciò potesse provocare un’escalation del conflitto.
Neanche due mesi dopo, nel corso della più vasta offensiva con dispositivi unmanned dall’inizio della guerra, le Forze armate ucraine sono riuscite a colpire mercoledì quattro fra i maggiori aerodromi militari russi, provocando un danno potenzialmente ancora maggiore. Mentre parte di quello stormo di 117 droni oscurava infatti i cieli di Savasleyka finendo per impattare contro gli hangar dell’oblast’ di Nizhnij-Novgorod in cui i russi avevano rinserrato i loro MiG-31, altrettanti Uav mandavano in fumo contemporaneamente le basi aeree di Borisoglebsk, Kursk e Voronezh, in cui si trovavano quegli Su-25, Su-34, Su-35 e Su-57 da cui i piloti russi lanciano centinaia di missili e gliding bomb contro le città ucraine. Un ulteriore Su-34 è stato abbattuto in volo sui cieli di Kursk dai sistemi difensivi ucraini schierati a copertura delle truppe a terra, mentre un bombardiere strategico Tu22M3 del valore di 300 milioni di dollari s’è schiantato per cause ignote in Siberia, uccidendo tutti i membri dell’equipaggio. Ricordando che un’altra base aerea russa contenente 700 bombe aeree plananti è stata colpita pochi giorni fa a Lipetsk, è chiaro che dopo i depositi di carburante, le raffinerie e i sistemi di difesa aerea, ora l’Ucraina attacchi a tutto campo mettendo nel mirino anche gli aeroporti militari russi. L’incursione avviata dieci giorni fa nell’oblast’ di Kursk s’è estesa a quella di Belgorod, dove sono in corso feroci combattimenti per l’ampliamento di quella zona-cuscinetto che le ЗСУ hanno saputo consolidare trincerandosi a difesa della regione di Sumy (dove oltre 20mila persone si sono viste costrette ad abbandonare i 183 insediamenti in cui vivevano). Impossibilitati a riconquistarli, i russi han fatto altrettanto scavando trincee nei pressi del villaggio di Viktorivka (a 45 chilometri dal confine con l’Ucraina), lungo la strada che da Sudzha porta a Lhov e all’incrocio fra i collegamenti Selikhovi-Dvory-Ivanine e Dyakonov-Sudzha (a 75 chilometri dalla frontiera). Opportunamente, il comandante in capo delle Forze armate ucraine Oleksandr Syrskyj ha annunciato giovedì la nomina d’un leader militare che sovrintenderà le operazioni nei territori occupati mantenendo la legge e l’ordine e garantendo i bisogni fondamentali della popolazione. In quello stesso giorno 102 soldati – fra i ceceni della brigata “Akhmat” e i russi del 488esimo reggimento motorizzato di fucilieri della Guardia Nazionale – deponevano le armi, consegnandosi alle ЗСУ in quella che a oggi costituisce la più grande cattura di massa avvenuta in un solo giorno dall’inizio della guerra. Come ha sottolineato l’esperto di relazioni esterne e sicurezza – già vicepresidente del “Black Sea Institute for Strategic Studies” – Oleksandr Khara, a prescindere dalla durevolezza dei risultati militari conseguiti sul campo, il blitz transfrontaliero nelle regioni di Kursk e Belgorod ha già sortito importanti risultati in politica estera, evidenziando la capacità degli ucraini di combattere in modo asimmetrico e silurando al contempo ogni presunto ‘processo di pace’ svantaggioso per Kyiv. Dal momento che la pressione russa sulle regioni orientali dell’Ucraina non accenna a diminuire e viene contenuta a fatica nelle direzioni di Chasiv Yar, Niu York, Pokrovsk e Toretsk, la decisione d’estendere tale buffer zone all’oblast’ di Belgorod – e possibilmente anche a quella di Bryansk – appare dunque l’unica sensata nell’ottica di costringere Putin a rivedere i suoi piani.
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Ma v’è di più: la complessità del quadro che si sta profilando sul campo sta certamente facendo rimpiangere a quest’ultimo d’aver soffiato sul fuoco del conflitto in Medioriente. La penetrazione ucraina in Russia e il devastante attacco alle Forze aerospaziali russe appena descritti rendono infatti arduo per Mosca mantenere gl’impegni presi con Teheran, che s’aspetta di ricevere quei caccia di quinta generazione e sistemi antimissile che Kyiv ha appena decimato. Viceversa, appare altrettanto chiaro che nemmeno la promessa delle autorità iraniane di rimpinguare i magazzini russi con centinaia di missili potrà essere onorata senza un’ampia riesamina al ribasso: se i molti “Fath-360” di cui Teheran dispone sono infatti piccoli razzi in grado di trasportare testate da 150 kg per altrettanti chilometri, vettori come i“Khorramshahr” (che hanno portata e range almeno 13/15 volte superiori) rientrano fra quei missili mid-range di cui l’Iran necessiterà se davvero vorrà impelagarsi contro Israele per lavare nel sangue l’uccisione del leader di Hamas Ismail Haniyeh avvenuta lo scorso 31 luglio.
In sostanza, gli autocrati d’entrambi gli Stati-canaglia hanno promesso inaudite ritorsioni contro quei baluardi delle democrazie che insidiano il loro imperio ma è evidente che ciascuno di loro, per farlo, abbisogni d’ogni mezzo di cui dispone senza poterne cedere all’altro. Allo stesso modo, la recente corsa al riarmo di Seul (che entro il 2027 sarà il quarto mercante d’armi al mondo) costringerà presto o tardi anche il regime di Pyongyang a ridimensionare il traffico delle munizioni che smercia con Mosca in cambio di materie prime e derrate alimentari. In conclusione, ad appena dieci giorni dal suo avvio, l’impatto dell’offensiva ucraina va ben al di là dei 1.150 km2 di terra russa occupata, perché invadendo per la prima volta nella Storia i territori d’una potenza nucleare Kyiv ha cancellato la più marcata delle linee rosse, riscrivendo il presente dei manuali militari.
Di Giorgio Provinciali
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Guerra Ucraina
Voci dal fronte
Abbiamo raccolto alcune testimonianze sul campo dal fronte Nord ucraino: “Nessuno vuole i loro territori ma è un nostro dovere difendere i nostri”
Fronte Nord – Com’era facilmente immaginabile, oltre al parziale riposizionamento della 810ª brigata russa di cui scrissi due giorni fa, Mosca sta trasferendo parte del proprio contingente militare dai territori occupati delle regioni di Kherson e Zaporizhzhia a Kursk. Su quest’ultimo versante l’Ucraina avanza tuttavia al ritmo d’una quarantina di chilometri quadrati al giorno, tanto da controllare a oggi un’ottantina d’insediamenti.
Di conseguenza, dato che oltre ad allentare la presa russa su quelle regioni meridionali dell’Ucraina verso cui le ЗСУ potrebbero presto tornare a premere, tali disposizioni si stanno rivelando insufficienti a contenere l’avanzata gialloblù in Russia, come ha osservato il ministro della Difesa lituano Kasčiūnas nel corso della sua visita a Kyiv, a Mosca hanno inoltre disposto il trasferimento verso Kursk di migliaia di militari stanziati a Kaliningrad, mettendo così ulteriormente a nudo le debolezze e i limiti della strategia del Cremlino.
Da canto loro, le autorità militari dell’oblast’ di Sumy hanno imposto il divieto d’accesso lungo tutto il confine con quella di Kursk creando una fascia protetta profonda almeno 20 km da cui transitano uomini e mezzi verso la Russia ma anche decine di camion carichi di prigionieri in senso opposto. In appena una settimana i soldati russi ad aver alzato bandiera bianca aderendo al programma ucraino “Хочу жити” (voglio vivere, ndr) sono stati infatti circa 2mila, di cui molti hanno manifestato anche l’intenzione d’unirsi a quelle legioni di partigiani che intendono liberare la Russia dal regime dittatoriale di Putin. Sul versante opposto, di quei 160mila civili russi a cui il proprio stesso esercito sta bombardando le case per respingere l’avanzata ucraina, le autorità di Mosca stanno disponendo il trasferimento nei territori occupati dell’Ucraina illegalmente annessi alla Federazione Russa.
Procedendo verso Ovest lungo il confine con la Bielorussia s’osserva un progressivo accrescimento del contingente militare ucraino in risposta allo schieramento di blindati disposto nelle scorse ore da Lukashenko. In previsione del giorno dell’indipendenza ucraina, che verrà celebrato fra dieci giorni, da queste parti ci si prepara alla rappresaglia serrando i ranghi e rimanendo uniti, perché la minaccia potrebbe arrivare anche da lì.
Alcuni civili hanno deciso di lasciare temporaneamente le zone di confine e il centro delle grandi città per spostarsi nella propria dacia in periferia o nelle zone occidentali del Paese mentre altri – moltissimi – scongiurano il pericolo trascorrendo più tempo nei luoghi pubblici più protetti.
Osservando l’evolversi di questa situazione estremamente fluida, che vede centinaia di migliaia di persone spostarsi come descritto, in attesa degli ordini di pochi, è stato interessante parlare con alcuni soldati ucraini tornati dal fronte Nord. Come impone il protocollo militare, hanno accettato di farlo a patto che ne venga riportato solo nome e grado. «Siamo andati a fare manualmente quel che poteva esser fatto dai missili. Trenta mesi sono 900 giorni. Per tutto quel tempo abbiamo aspettato l’ordine più sensato di tutti, cioè di poter rispondere al fuoco nemico usando le armi occidentali. Abbiamo tenuto per due anni e mezzo nel mirino quelle postazioni da cui i russi ci massacravano sparandoci contro ogni tipo di munizione, senza poter fare nulla mentre vedevamo radere al suolo tutte le nostre città lungo il confine con la Russia. Quando abbiamo ricevuto l’ordine d’invaderla non potevamo credere alle nostre orecchie. Abbiamo esultato e siamo partiti carichi a mille. Nessuno vuole i loro territori ma è un nostro dovere difendere i nostri» confida Oleksandr, artigliere travolto da una raffica di schegge sul fianco destro.
«Sono tutti concordi nel riaffermare il nostro diritto a difenderci sparando anche in territorio russo ma questo diritto sacrosanto sembra valere solo se usiamo le nostre armi. Non s’è mai vista una guerra in cui l’aggredito non può sparare contro le posizioni da cui l’aggressore lo tiene sotto tiro» sottolinea Petia, che prima della guerra era avvocato e oggi è carrista, concludendo che «all’Occidente servirà ancora altro sangue ucraino ma la decisione di sollevare il veto sull’uso di Storm Shadow, Scalp, Atacms – e possibilmente Taurus – in territorio russo sicuramente arriverà. Probabilmente sarà una conseguenza della ritorsione russa al nostro sconfinamento, perché ogni conquista va pagata col sangue».
Il concetto ribadito dalla maggior parte dei ragazzi intervistati è sempre quello: a nessuno di loro sarebbe mai venuto in mente d’andare in Russia ma è stata l’unica scelta possibile per difendere la propria casa e il proprio Paese. Concetto sottolineato peraltro nelle scorse ore anche dai senatori americani Lindsey Graham (repubblicano) e Richard Blumenthal (democratico), nel corso della loro sesta visita a Kyiv: «È stata una mossa tanto fulminea quanto geniale. L’unica possibile per sbloccare una situazione assurda venutasi a creare a causa dell’imposizione di veti insensati sull’uso delle armi occidentali.
Per questo, al nostro rientro negli States sottoporremo al presidente Biden la richiesta di sollevare ogni restrizione, permettendo a questi ragazzi di vincere anche per noi». Rimarcando come l’Ucraina sia una vera e propria miniera d’oro di materie prime e terre rare – del valore d’oltre 100 trilioni di dollari – entrambi i senatori hanno rimarcato inoltre quanto quanto una vittoria ucraina sia maledettamente utile proprio a Stati Uniti e Unione europea, per poter finalmente concludere affari con un partner affidabile anziché con la Cina.
Più in generale, dal campo emerge il timore che – sebbene gli alleati abbiano benedetto la prima incursione militare su suolo russo dalla Seconda guerra mondiale – essi possano compiere un passo falso simile a quello che impedì a Kyiv di chiudere la partita nel corso della grande controffensiva del 2022, limitandone nuovamente le forniture d’armi nel momento più critico o chiedendo ai suoi soldati di combattere ancora una volta con una mano legata dietro la schiena.
di Giorgio Provinciali
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