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Da Macron a Meloni fino a Merz, i leader Ue non si danno pace

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È alta la confusione tra i leader europei. Che siano volenterosi o che, per loro stessa ammissione come la premier Giorgia Meloni, non lo siano.

Venerdì è andato in scena, com’è ampiamente noto, un duro botta e risposta tra il presidente francese Emmanuel Macron e Meloni. A Tirana venerdì, a margine del vertice della Comunità politica europea, Macron, Keir Starmer, Friedrich Merz e Donald Tusk si sono isolati con il leader ucraino Volodymyr Zelensky. E hanno sentito telefonicamente il presidente Usa Donald Trump.

Una foto li ha immortalati. La premier italiana era assente. Come era assente sul treno per Kiev. E assente dalla foto a San Pietro, a margine dei funerali di Papa Francesco, in cui comparivano Trump, Zelensky, Starmer e Macron.

Alta tensione tra Eliseo e Palazzo Chigi ma entrambi vanno in cortocircuito

“A chi si lamenta, all’opposizione per esempio, chiedo la stessa chiarezza e la stessa coerenza: ci si chiede di partecipare a questi formati perché dobbiamo mandare le truppe in Ucraina o perché dobbiamo farci una foto e poi dire di no”, ha replicato la premier italiana. Parole sulle quali, poco dopo, si è soffermato Macron. Smentendo che si sia parlato di invio delle truppe sia a Tirana sia nell’incontro di domenica con Zelensky a Kiev. “La discussione è sul cessate il fuoco, guardiamoci dal divulgare false informazioni, ce ne sono a sufficienza di quelle russe”, ha tenuto a precisare l’uomo dell’Eliseo.

Macron smentito dal ministro della Difesa britannico

Ma a smentire Macron ci ha pensato il ministro della Difesa britannico John Healey. “Truppe in Ucraina? La pianificazione è condotta dai militari e include trenta paesi: stiamo considerando piani per la sicurezza in mare e in cielo, perché una Ucraina forte è il deterrente contro Putin. Se è necessario siamo disponibili a mandare truppe in Ucraina, assieme ad altri attori”, ha detto Healey. E qui c’è il primo cortocircuito che lambisce Macron.

Meloni non fa parte dei volenterosi, anzi sì

Ancora forse più macroscopico quello che riguarda Meloni. La premier si è chiamata fuori dalle riunioni dei volenterosi e allora, se così è, dovrebbe spiegare come mai domenica, secondo quanto ha riportato ieri Starmer, si è unita a loro nella call a Trump. I leader di Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia hanno parlato telefonicamente ieri sera (domenica, ndr) con il presidente degli Stati Uniti, un giorno prima della sua telefonata con Vladimir Putin per cercare di porre fine al conflitto in Ucraina, ha affermato ieri Downing Street.

I Capi di Stato e di governo “hanno discusso della situazione in Ucraina e del costo catastrofico della guerra per entrambe le parti”, ha spiegato il portavoce dell’ufficio di Starmer. “Prima della telefonata tra il presidente Trump e il presidente Putin, i leader hanno discusso della necessità di un cessate il fuoco incondizionato e della necessità che il presidente Putin prenda sul serio i colloqui di pace”, ha aggiunto. E ancora: “hanno discusso anche dell’uso di sanzioni se la Russia non si impegna seriamente in un cessate il fuoco e in colloqui di pace”, ha argomentato Downing Street.

Il portavoce di Merz: Trump ha deciso il format della call con i volenterosi con dentro Meloni

E non è finita. Meloni ha sempre auspicato di voler fare da pontiera tra Europa e Stati Uniti.
Ma, sempre ieri, il portavoce di Merz ci ha informati che il format della telefonata di domenica tra Trump e i volenterosi, a cui si è aggiunta Meloni, è stato auspicato dagli americani.

Secondo il Financial Times, poi, è stato Merz a cercare di smussare le tensioni emerse tra Meloni e Macron. Il quotidiano ha ricordato pure che Meloni aveva un rapporto più teso invece con il predecessore del nuovo cancelliere tedesco, Olaf Scholz che, insieme ai suoi partner di coalizione, i Verdi, aveva preso le distanze dalla politica migratoria del governo italiano di centrodestra.

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Tragedia in India: un Boeing di Air India diretto a Londra con 242 persone a bordo è precipitato su un centro abitato

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Tragedia nei cieli dell’India. Un Boeing 787-8 Dreamliner della compagnia Air India, volo AI171 diretto a Londra Gatwick, è precipitato oggi pochi minuti dopo il decollo dall’aeroporto internazionale Sardar Vallabhbhai Patel di Ahmedabad, nello Stato del Gujarat. A bordo c’erano 242 persone, tra cui 230 passeggeri e 12 membri dell’equipaggio. Secondo quanto riferito dall’emittente indiana News18 non ci sarebbero supestiti.

Il disastro si è consumato intorno alle 13:38 ora locale, quando il velivolo – decollato da pochi secondi – ha interrotto i contatti radio con la torre di controllo e ha lanciato un mayday. I dati di volo indicano che il Boeing non aveva ancora superato i 625 piedi di altitudine, circa 200 metri, prima di precipitare su una zona residenziale della città, Meghani Nagar. Le immagini trasmesse dalle emittenti locali mostrano macerie, edifici anneriti dal fuoco e un frammento della carlinga ancora in fiamme.

Tragedia in India: un Boeing di Air India diretto a Londra con 242 persone a bordo è precipitato su un centro abitato

Secondo la Direzione Generale dell’Aviazione Civile (DGCA), i piloti avevano segnalato un’emergenza poco dopo il decollo. L’aereo ha colpito le abitazioni della zona densamente popolata, provocando danni anche a terra, ma al momento non è noto se vi siano vittime tra i residenti. I servizi di emergenza sono intervenuti immediatamente, e numerosi feriti sono stati trasportati negli ospedali più vicini.

La compagnia Air India ha confermato in una nota l’incidente e la composizione internazionale dei passeggeri: tra di loro vi erano 169 cittadini indiani, 53 britannici, 7 portoghesi e un canadese. Il Boeing 787-8 Dreamliner era uno dei più recenti modelli della flotta Air India e, secondo il database dell’Aviation Safety Network, si tratterebbe del primo incidente mortale che coinvolge questo tipo di aereo.

Il premier indiano Narendra Modi si è detto in stretto contatto con il ministro dell’Aviazione Civile, Rammohan Naidu, e ha ordinato che vengano impiegate tutte le risorse disponibili per le operazioni di soccorso. Il ministro si è recato sul luogo della tragedia nel pomeriggio.

Le cause dell’incidente restano da chiarire. Le autorità aeronautiche hanno avviato un’indagine per ricostruire l’accaduto, mentre Air India ha assicurato che fornirà aggiornamenti ufficiali attraverso i propri canali.

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Sulla guerra in Ucraina, Usa e Ue sempre più distanti. Bruxelles vara il 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca mentre Washington pensa a tagliare gli aiuti militari a Kiev

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Con la Russia che continua a bombardare l’Ucraina e ad avanzare nel Donbass, dove ha conquistato altri due villaggi, l’Unione Europea e gli Stati Uniti appaiono sempre più distanti sui passi da intraprendere per spingere le parti a porre fine alla guerra in Ucraina. Infatti, mentre il Consiglio UE ha dato il via libera a nuovi dazi sui prodotti agricoli e su alcuni fertilizzanti provenienti da Russia e Bielorussia, non ancora soggetti a dazi doganali aggiuntivi, così da ridurre la capacità di Mosca di finanziare la guerra, da Washington si preferisce evitare nuove sanzioni contro il Cremlino, scegliendo invece di fare pressioni su Volodymyr Zelensky.

A dirlo in modo chiaro è stato il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, che, in audizione al Congresso americano, ha ribadito che Donald Trump, dopo aver dirottato una fornitura di circa 20mila missili antiaerei dall’Ucraina al Medio Oriente, sta seriamente pensando di “ridurre ulteriormente gli aiuti militari a Kiev”.

Parole a cui ha risposto Zelensky, dicendosi sicuro — in un’intervista alla Bild — che “la Russia stia mentendo a Trump”, raccontandogli della propria disponibilità a trattare al fine di fare “in modo che non vengano applicate nuove sanzioni” nei confronti del Cremlino.

Lo zar “cerca semplicemente ragioni per attaccare. Non vuole mettere fine alla guerra”, ha aggiunto il leader di Kiev, prima di ammettere che l’eventuale riduzione delle forniture americane sarebbe “dolorosa” e potrebbe causare potenziali “conseguenze disastrose” per l’intero ordine mondiale.

Sulla guerra in Ucraina, Usa e Ue sempre più distanti. Bruxelles vara il 18esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca mentre Washington pensa a tagliare gli aiuti militari a Kiev

In questo scenario appare chiaro come il supporto dell’UE sia letteralmente vitale per la resistenza dell’Ucraina. Lo sa bene Zelensky che, sempre parlando con la Bild, ha chiesto all’Europa “maggiori sforzi per fornire sistemi di difesa anti-aerea”, auspicando anche “una veloce consegna dei missili Taurus” da parte del cancelliere Friedrich Merz.

Ed è in questo contesto che Bruxelles, rinnovando il suo supporto all’Ucraina “fino a quando sarà necessario”, ha dato il via libera al 18° pacchetto di sanzioni contro Mosca.

Misure che hanno mandato su tutte le furie il Cremlino, con l’amministrazione di Vladimir Putin che ha promesso di “rispondere alle sanzioni come abbiamo già fatto in precedenza”, ricordando come “con le sanzioni, gli europei spesso si danno la zappa sui piedi”, mentre — secondo Mosca — le conseguenze per la Russia sarebbero “minime”.

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Le proteste anti-Trump dilagano in tutti gli Stati Uniti: arresti, coprifuochi e scontri con la polizia proseguono per il settimo giorno consecutivo

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Le proteste contro le politiche migratorie del presidente Donald Trump continuano ad allargarsi a macchia d’olio negli Stati Uniti, mentre cresce la tensione tra manifestanti e forze dell’ordine. Migliaia di persone sono scese in piazza la scorsa notte in numerose città, da Los Angeles a New York, per protestare contro le recenti operazioni dell’agenzia federale Ice e l’uso crescente della forza da parte dell’amministrazione.

Le mobilitazioni, iniziate venerdì scorso a Los Angeles, si sono intensificate dopo che la Casa Bianca ha disposto la mobilitazione della Guardia nazionale e dei Marine in California e imposto il coprifuoco in diverse aree urbane. La mossa ha innescato nuove manifestazioni in tutto il Paese e alimentato un clima di crescente scontro istituzionale.

Le proteste anti-Trump dilagano in tutti gli Stati Uniti: arresti, coprifuochi e scontri con la polizia proseguono per il settimo giorno consecutivo

A Seattle, nello Stato di Washington, otto persone sono state arrestate durante una manifestazione che inizialmente si era svolta in modo pacifico. La situazione è degenerata in serata, con lanci di oggetti contro la polizia e l’incendio di un cassonetto. A Spokane, sempre nello Stato di Washington, è stato dichiarato lo stato d’emergenza: oltre 30 arresti e l’impiego di fumogeni per disperdere i manifestanti.

A Las Vegas, la polizia ha dichiarato “assemblea illegale” un presidio nei pressi del tribunale federale e ha ordinato lo sgombero dell’area, minacciando arresti. A New York, circa 200 persone si sono radunate a Manhattan: anche qui si sono registrati alcuni fermi.

In Texas la Guardia nazionale è stata mobilitata preventivamente in vista di nuovi cortei. Il sindaco di Houston, John Whitmire, ha lanciato un appello alla calma. Altri cortei si sono svolti anche in Saint Louis, Denver, San Francisco, Chicago, Dallas, Filadelfia, Indianapolis, Milwaukee, Boston, Atlanta e Washington DC.

La linea dura dell’amministrazione

A Los Angeles, le autorità hanno dichiarato non autorizzata una manifestazione davanti al municipio e sono stati eseguiti tra i 20 e i 30 arresti, secondo quanto riferito dalla CNN. I disordini sarebbero scoppiati dopo una serie di retate dell’Ice, che nei giorni scorsi ha fermato decine di persone, anche nei luoghi di lavoro.

Il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha difeso la scelta del presidente Trump di mobilitare le forze armate. Parlando davanti al Congresso, ha definito l’intervento “necessario per creare un precedente” da replicare in altri Stati. “Si tratta anche di prevenzione – ha detto – se altrove si dovessero verificare rivolte o minacce alle forze dell’ordine, avremo la capacità di intervenire rapidamente”.

Non sono mancate critiche al governatore democratico della California, Gavin Newsom, accusato di “reticenza” nel cooperare con le forze federali. Anche la procuratrice generale Pam Bondi ha dichiarato che l’amministrazione “non ha paura di andare oltre”, lasciando intendere che il ricorso alla Legge sull’insurrezione – che autorizza l’impiego dell’esercito per sedare disordini interni – resta un’opzione concreta.

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