Mondo
Chi riconosce lo Stato della Palestina
Spagna, Irlanda, Malta e Slovenia sono “pronte a riconoscere lo Stato palestinese” e lo faranno “quando ciò porterà un contributo positivo” alla situazione in Medio Oriente. Lo hanno annunciato i leader dei quattro Paesi Ue a margine del summit europeo di Bruxelles.
In un documento congiunto…
Mondo
Podcast Globally: Perché il colpo di stato in Niger ci deve preoccupare
Francesco Rocchetti, Segretario Generale ISPI, e la giornalista Silvia Boccardi parlano con Luca Raineri, ricercatore presso la Scuola Sant’Anna, del colpo di stato che ha rovesciato il governo del Niger e delle conseguenze che porterà nel Sahel e a livello mondiale.
Globally è il podcast di ISPI e Will sulla politica internazionale. Ogni settimana, cercheremo di dare gli strumenti per analizzare e orientarci tra scenari sociali, economici e politici in continuo mutamento, in soli 15 minuti.
Dalla guerra in Ucraina all’impatto delle sanzioni, dall’ascesa della Cina alla geopolitica dei semiconduttori, dall’invasione russa dell’Ucraina alle sfide della transizione ecologica, i temi più caldi dell’attualità internazionale nelle scorse puntate di Globally.
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Mondo
Libano e Gaza, due guerre diverse per Israele
Se il cessate il fuoco sarà confermato anche nei giorni successivi la sua entrata in vigore, quella che appare chiara è la sconfitta militare di Hezbollah. E di conseguenza la vittoria di Israele: sanguinosi, con modalità e bilanci di vittime libanesi simili a quelli palestinesi di Gaza, lo stato ebraico ha raggiunto i suoi obiettivi politici.
L’accordo continua ad avere ancora alcuni punti oscuri: chi interviene se una delle due parti provoca un incidente nei 60 giorni stabiliti di attuazione del compromesso? L’esercito libanese dovrebbe prendere il controllo della frontiera con la Siria da dove passavano le armi iraniane per Hezbollah; e soprattutto presidiare il Sud del Libano. Ma alcune brigate dell’Armée sono sciite e molti sostengono Hezbollah. Infine, è quasi fatale che a Sud del fiume Litani i caschi blu dell’Unifil debbano allargare le loro competenze: i paesi che forniscono i militari (Italia compresa) lo vorranno fare?
I bombardamenti israeliani hanno inflitto colpi pesanti al sistema di potere e alle capacità militari di Hezbollah. Forse è solo a tempo determinato ma a questo assomiglia l’accordo: a una resa. Non sarebbe stata possibile senza il consenso di Teheran, del quale il movimento libanese è sempre stato il più disciplinato nella galassia pro-iraniana della regione.
Appare difficile che Hezbollah, spinto da ambizioni regionali, accetti di diventare un partito politico con un’agenda solo libanese. Ma non sarebbe la prima organizzazione armata a prendere questa strada: già lo fece l’Olp palestinese. Nella demografia settaria del Libano, da tempo gli sciiti sono maggioranza relativa: partecipando alle elezioni Hezbollah diventerebbe il primo partito in Parlamento. La sua influenza continuerebbe ad essere grande.
Questi sono i lati incerti della medaglia di un accordo che, se rispettato, è comunque importante, apparentemente solido, capace di fermare la guerra e stabilizzare il Libano. Potrebbe essere un modello per l’altro conflitto del Levante, quello di Gaza? La pioggia di razzi su Israele, sosteneva Hezbollah, era il suo modo di essere solidale con l’aggressione israeliana nella striscia.
Tuttavia, è illusorio che il primo cessate il fuoco sia il prodromo di un secondo. Le due guerre sono diametralmente diverse. Almeno dopo la pace di Camp David con l’Egitto del 1978, Israele ha sempre cercato un compromesso con i paesi arabi: l’Egitto appunto, la Giordania, gli accordi di Abramo, la miriade di impliciti riconoscimenti attraverso gli uffici d’interesse economico. Prima del massacro di Gaza anche l’Arabia Saudita lo desiderava.
I palestinesi sono un’altra storia: vivono sulla stessa terra degli israeliani ed entrambi la rivendicano. Fino a che non avrà una frontiera orientale definita, Israele resterà uno stato incompiuto. Fisserebbe il confine una volta per tutte la nascita di uno stato palestinese ma gli alleati estremisti di Netanyahu farebbero cadere il governo. Oppure Israele potrebbe annettere la Cisgiordania, come vuole il governo di estrema destra di Netanyahu. In questo caso la frontiera che arriverebbe al fiume Giordano, non sarebbe riconosciuta dalla comunità internazionale.
In Libano Israele era entrato con lo scopo politico di sollevare le comunità cristiane e sunnite libanesi, stanche dei conflitti di Hezbollah; offrire un percorso negoziale alla comunità internazionale e far rispettare le risoluzioni Onu.
A Gaza no, il suo scopo è fondamentalmente opposto. Israele non ascolta le deliberazioni delle Nazioni Unite e nessun progetto politico accompagna un intervento militare che sembra senza uscita. L’unico obiettivo politico “forte” rilevabile è la ricolonizzazione della striscia, pretesa dagli estremisti al potere.
È paradossale che il governo Netanyahu stia liberando il Libano dai suoi sequestratori di Hezbollah: finalmente entro 60 giorni il parlamento di Beirut potrà eleggere un presidente. Mentre a Gaza ignora il destino di un centinaio di ostaggi israeliani ancora nei tunnel di Hamas.
Solo i più estremisti del movimento già abbastanza estremista dei coloni nazional-religiosi, pensano che Eretz Israel debba arrivare fino a Sidone. Una parte della frontiera fra i due paesi è ancora contesa ma Israele si è ritirato completamente dal Libano nel 2000. È invece probabile che le brigate dell’esercito che non dovranno più combattere a Nord, siano spostate a Gaza e soprattutto nella Cisgiordania occupata. Daranno respiro e speranze al Libano ma continueranno a reprimere, distruggere e uccidere qualche terrorista e la maggioranza dei civili palestinesi innocenti.
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Mondo
A Gaza si torna a sperare, Hamas annuncia: “Entro 48 ore risponderemo alla proposta di tregua di Israele”. Ma l’Idf non ferma i raid e colpisce un altro ospedale
Sembra avvicinarsi una possibile svolta nel conflitto che da oltre un anno e mezzo devasta la Striscia di Gaza. È infatti attesa da un momento all’altro la risposta di Hamas alla proposta di cessate il fuoco, che prevede il rilascio di 10 ostaggi vivi in cambio di 40 giorni di tregua. La proposta è stata avanzata dai funzionari israeliani nell’ambito delle trattative di pace che, da mesi, si tengono tra Doha, in Qatar, e Il Cairo, in Egitto.
A rivelare che la decisione verrà annunciata a breve è un alto funzionario del movimento palestinese, il quale ha dichiarato all’Afp che l’organizzazione fondamentalista risponderà “molto probabilmente” entro 24-48 ore. Secondo quanto riportato da Al Jazeera, l’indecisione sarebbe dovuta al fatto che, all’interno del gruppo terroristico, c’è chi sostiene l’accordo nella sua forma attuale, e chi invece vorrebbe includere condizioni aggiuntive, come “garanzie future per un cessate il fuoco permanente, il ritiro completo delle forze di occupazione dalla Striscia di Gaza, l’inizio di un serio processo di ricostruzione di quanto distrutto dall’occupazione di Israele, e la revoca dell’ingiusto assedio imposto al nostro popolo nella Striscia di Gaza”.
A Gaza non si arresta la pioggia di bombe e gli incidenti
Sebbene sia difficile prevedere quale sarà la decisione finale di Hamas, al cui interno “sono in corso serrati confronti” tra le due distinte ali del movimento, tutto lascia pensare che alla fine l’organizzazione accetterà l’accordo, eventualmente chiedendo piccole modifiche per non far saltare il tavolo delle trattative. A suggerirlo è anche l’intensificarsi delle operazioni militari dell’esercito israeliano (Idf), su ordine del primo ministro Benjamin Netanyahu, che sta allargando il raggio d’azione – senza incontrare particolare resistenza armata – per esercitare “la massima pressione” sul movimento palestinese.
Purtroppo, come accade sin dall’inizio del conflitto, a pagare il prezzo più alto sono i civili palestinesi. Durante i raid condotti dall’Idf nelle ultime ore, è stato colpito l’ingresso nord di un ospedale da campo nella Striscia di Gaza, ferendo diversi medici e infermieri. La struttura, il Kuwaiti Field Hospital, situata nell’area di Mawasi, è nota per ospitare da tempo centinaia di sfollati rifugiati nella tendopoli.
L’attacco ha suscitato l’indignazione del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che si è detto “profondamente allarmato” per l’accaduto, avvenuto peraltro due giorni dopo un altro raid che ha colpito l’ospedale arabo Al-Ahli di Gaza. “In base al diritto internazionale umanitario, i feriti e i malati, il personale medico e le strutture sanitarie, compresi gli ospedali, devono essere rispettati e protetti”, ha affermato il leader delle Nazioni Unite, che si è poi appellato a Netanyahu affinché faccia tutto il possibile per porre fine quanto prima a questa guerra.
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